Scompenso cardiaco, una patologia grave da tenere sotto controllo
Sono anziani e in lieve maggioranza donne in condizioni di salute precarie. Sono persone in terapia con trattamenti non sempre ottimali e destinati in un caso su due a ripetuti ricoveri, che peraltro nella metà dei casi non sono di natura cardiovascolare. È questo l’identikit dei pazienti italiani affetti da scompenso cardiaco, osservati nella “vita reale” e non attraverso ”l’ambiente protetto” degli studi clinici che escludono alcuni gruppi di popolazione.
Lo scompenso cardiaco, che colpisce quasi un milione di pazienti nel nostro Paese, è una sindrome invalidante, per la quale il cuore non è più in grado di pompare una quantità sufficiente di sangue nell’organismo, che può avere conseguenze letali. Si tratta di una patologia ancora più aggressiva di alcuni tumori avanzati e la sua incidenza è in costante crescita a causa di stili di vita non salutari, dell’aumentata sopravvivenza dopo un infarto e dell’invecchiamento della popolazione.
Circa il 30% dei pazienti muore a un anno dalla diagnosi e il 50% a cinque anni.
Considerando la finestra temporale di 5 anni, lo scompenso cardiaco ha un tasso di mortalità più che doppio rispetto alla mortalità del tumore al seno (11%-27%), ed è superiore a quella causata dal tumore all’intestino (37%).1
A delineare la complessità della gestione dello scompenso cardiaco sono i risultati dello studio ARNO, condotto dal CORE CINECA con il sostegno di Novartis, presentati oggi durante i lavori del congresso ESC 2015 in corso a Londra.
L’indagine si basa sui dati amministrativi di pazienti con diagnosi di scompenso cardiaco ricavati dall’Osservatorio ARNO, di proprietà di CORE CINECA – il maggior centro di calcolo nazionale, gestito da un consorzio tra 70 università italiane – che ha estratto informazioni riguardanti ricoveri, prescrizioni e procedure ambulatoriali di sette Aziende Sanitarie Locali italiane. I dati si riferiscono a un bacino di circa 2.500.000 di assistiti seguiti in un arco temporale di cinque anni, dal gennaio 2008 al dicembre 2012.
«Solitamente i pazienti con scompenso cardiaco sono arruolati negli studi clinici secondo precisi criteri di inclusione ed esclusione e proprio per questo i trial non rispecchiano l’effettiva realtà della popolazione con scompenso cardiaco che osserviamo nella pratica clinica quotidiana», afferma Aldo Pietro Maggioni, responsabile del Centro Studi ANMCO e coordinatore dello studio ARNO. «Questa indagine ha permesso di valutare le caratteristiche cliniche, l’aderenza ai trattamenti raccomandati dalle linee guida internazionali, la probabilità di andare incontro a un secondo ricovero e, soprattutto, i costi complessivi della patologia nell’anno di osservazione dopo la dimissione».
Nel periodo considerato, nelle sette ASL coinvolte, sono stati registrati 54.059 ricoveri per scompenso cardiaco. I 41.413 pazienti non deceduti e dimessi con la prescrizione di un trattamento specifico per lo scompenso cardiaco sono stati seguiti per un anno.
Il primo dato che emerge riguarda l’età e il sesso dei pazienti: l’età media è 79 anni, almeno 10 anni in più rispetto a quella riscontrata nei trial clinici; in lieve maggioranza le donne (51%), anche questo un dato quasi doppio rispetto a quello che si osserva nei trial clinici controllati.
Tante le comorbidità, la più frequente delle quali è l’ipertensione arteriosa con circa il 70% dei casi, seguita dal diabete (30,7%), dalla broncopneumopatia cronica ostruttiva o BPCO (30,5%) e dalla depressione (21%).
«Se consideriamo l’età media del paziente e le frequenti comorbidità – commenta Maggioni – comprendiamo perché lo scompenso cardiaco è la prima causa di ospedalizzazione negli over 65. La probabilità di essere ricoverati di nuovo entro l’anno è del 56,6%, oltretutto quasi la metà (49%) di queste ri-ospedalizzazioni non è dovuta a cause cardiovascolari ma ad altri motivi».
L’indagine ha permesso di valutare anche i costi: con una degenza ospedaliera che mediamente supera i 10 giorni, il SSN spende complessivamente 550 milioni di euro l’anno; la spesa annuale per paziente è di 11.800 euro, di cui l’85% rappresentato dai costi di ospedalizzazione.
«Significativo – osserva Maggioni – che il costo delle ri-ospedalizzazioni sia quasi il doppio rispetto a quello del primo ricovero (oltre 7.000 euro vs circa 4.500 per il primo ricovero). Lo scompenso cardiaco è, a tutti gli effetti, la condizione clinica più grave e più costosa tra le patologie croniche e le evidenze dello studio ARNO confermano il peso socio-sanitario ed economico di questa patologia che, a causa della difficoltà a respirare e dell’impossibilità a svolgere la normale attività quotidiana e l’esercizio fisico, compromette gravemente la qualità di vita e il vissuto dei pazienti. I risultati dell’indagine dimostrano la necessità di trasferire i dati ottenuti dai trial clinici nel mondo reale. Alla luce del rilevante numero di ri-ospedalizzazioni dovute a motivi non cardiovascolari, se si vuole intervenire con strategie efficaci e ridurre il peso complessivo di questa patologia, bisogna pensare a un approccio multidisciplinare per trattare il paziente nella sua globalità».
«Studi come questo evidenziano la complessità di una patologia che nonostante sia tra le più diffuse in Italia è ancora conosciuta poco e male – osserva Oberdan Vitali, Presidente dell’associazione pazienti scompensati cardiaci AISC – è fondamentale per il paziente essere guidato nel proprio percorso di cura, ma anche attore consapevole per prevenire ricadute e potenziali ri-ospedalizzazioni. Il tema dell’approccio multidisciplinare sarà anche oggetto del prossimo convegno nazionale dei pazienti scompensati organizzati da AISC, che si terrà a Roma il prossimo 7 settembre».
I dati dello studio dimostrano anche come le indicazioni suggerite dalle linee guida internazionali rispetto ai trattamenti non sempre vengano utilizzate al meglio. I farmaci inclusi nelle linee guida comprendono ACE-inibitori, beta-bloccanti e inibitori del sistema renina-angiotensina. Tuttavia nuove terapie si stanno affacciando per la cura dello scompenso cardiaco.
«Nell’immediato futuro – spiega Maggioni – avremo la possibilità di utilizzare nuovi farmaci come LCZ696, attualmente in valutazione presso l’Agenzia Europea del Farmaco (EMA) e già approvato dall’FDA, che ha dimostrato una superiorità rispetto agli ACE-inibitori nel ridurre sia la mortalità che i ricoveri. Per adesso dobbiamo cercare di usare al meglio tutto quello che è disponibile: antialdosteronici, beta-bloccanti e gli inibitori del sistema renina-angiotensina».
Long-term survival of cancer patients compared to heart failure and stroke: A systematic review BMC Cancer 2010, 10:105 Vasileios Askoxylakis et al
Intervista al Prof. Aldo Pietro Maggioni Direttore del Centro Studi ANMCO
Lo scompenso cardiaco è una patologia ad elevata morbilità e mortalità, con costi sociali altissimi. Da qui la grande attenzione dei sistemi sanitari a questa condizione clinica che in Italia colpisce oltre 600 mila persone. Una delle più ampie indagini condotta in real life nel nostro Paese è lo studio ARNO. Ci vuole spiegare di cosa si tratta e qual è l’importanza di questo studio?
Lo studio è in realtà un’analisi basata sui dati amministrativi riguardanti i pazienti con scompenso cardiaco ricavati dall’osservatorio ARNO dove confluiscono tre tipi di informazioni: le ospedalizzazioni, le prescrizioni e le procedure diagnostiche e terapeutiche in regime ambulatoriale. I dati si riferiscono a sette Aziende Sanitarie Locali (ASL) distribuite in diverse Regioni italiane del Nord, Centro e Sud del Paese per un totale di circa 2.500.000 residenti assistiti, seguiti dal gennaio 2008 al dicembre 2012.
Solitamente i pazienti con scompenso cardiaco sono arruolati negli studi clinici secondo precisi criteri di inclusione ed esclusione e proprio per questo i trial non rispecchiano la realtà della popolazione con scompenso che osserviamo nella pratica clinica quotidiana. Questa indagine ha permesso di ottenere un quadro, il più rappresentativo possibile sotto il profilo clinico ed epidemiologico dei pazienti con scompenso cardiaco, attraverso la valutazione delle caratteristiche cliniche, dei trattamenti raccomandati dalle Linee guida internazionali, della probabilità di andare incontro a un secondo ricovero dopo il primo con diagnosi di scompenso cardiaco e, infine, di determinare i costi complessivi della patologia nell’anno di osservazione dopo la dimissione.
I DATI SONO RICAVATI DAL DATABASE ARNO. COS’È? COME È STRUTTURATO LO STUDIO E QUALI SONO I RISULTATI DAL PUNTO DI VISTA EPIDEMIOLOGICO?
I dati dell’osservatorio ARNO sono di tipo amministrativo. Nell’ambito della popolazione coinvolta sono state valutate le ospedalizzazioni per scompenso cardiaco in un arco temporale di cinque anni, dal gennaio 2008 al dicembre 2012: in questo periodo, nelle sette ASL coinvolte risultano 54.059 ricoveri per scompenso cardiaco. I 41.413 pazienti non deceduti e dimessi con la prescrizione di un trattamento specifico per lo scompenso cardiaco sono stati seguiti per un anno.
Il primo dato interessante riguarda l’età media: 79 anni, più elevata di almeno dieci anni rispetto a quella che si riscontra nei trial clinici. Il 51,4% dei pazienti era di sesso femminile, e anche questo dato diverge, in misura quasi doppia, da quello che si osserva nei trial clinici controllati. La prevalenza di scompenso cardiaco cronico era dell’1,7%. Quanto alle comorbidità, la più frequente è la storia di ipertensione, che interessa circa il 70% dei pazienti, seguita dal diabete, 30,7%, dalla BPCO, 30,5%, e dalla depressione, 21%. I trattamenti sono stati prescritti come segue: ACE-inibitori/Inibitori dei recettori dell’angiotensina nel 65,8% dei pazienti, beta-bloccanti nel 49,7%, antagonisti dei mineralocorticoidi nel 42,1%.
QUALI SONO LE IMPLICAZIONI DI QUESTI DATI?
Se consideriamo l’età media del paziente e le frequenti comorbidità comprendiamo perché la probabilità di essere ricoverati di nuovo entro l’anno è del 56,6%: quasi la metà (49%) di queste ri-ospedalizzazioni non è dovuta a cause cardiovascolari ma ad altre cause che non emergono negli studi clinici, dove in genere non vengono arruolati soggetti con comorbidità. La mortalità intraospedaliera per tutte le cause si avvicina al 18%. Lo scompenso cardiaco è, a tutti gli effetti, la condizione clinica più grave e più costosa tra le patologie croniche e le evidenze dello studio ARNO confermano il peso socio-sanitario ed economico di questa patologia che, a causa della dispnea e dell’impossibilità a svolgere la normale attività quotidiana e l’esercizio fisico, compromette gravemente la qualità di vita e il vissuto dei pazienti. L’indagine ha inoltre permesso di valutare i costi: la spesa annuale per paziente è di 11.800 euro; gran parte di questo costo, circa l’85%, è impegnato nell’ospedalizzazione. Significativo che il costo delle riospedalizzazioni sia quasi il doppio rispetto a quello del primo ricovero (oltre 7.400 euro vs circa 4.500 per il primo ricovero). I farmaci pesano per circa il 10%, le prestazioni specialistiche ambulatoriali per il 5-6%.
QUAL È IN DEFINITIVA LA RILEVANZA DELLO STUDIO ARNO? QUALI LE PROSPETTIVE FUTURE?
I risultati dell’indagine dimostrano che gli studi condotti nella real life offrono evidenze molto diverse rispetto a quelle ottenute dai trial clinici. I pazienti colpiti da scompenso cardiaco nel mondo reale sono più anziani e con una maggiore incidenza nella popolazione femminile. Altra indicazione importante è che nella vita reale il tasso di utilizzo dei trattamenti raccomandati dalle Linee Guida internazionali non è certamente ottimale. La mortalità per tutte le cause resta alta e le ri-ospedalizzazioni sono frequenti e, nella metà dei casi, non dovute a cause cardiovascolari, dato che evidenzia come nella vita reale sia rilevante il ruolo dell’età avanzata e delle comorbidità.
QUALI RICADUTE DAL PUNTO DI VISTA CLINICO POTRÀ AVERE LO STUDIO ARNO?
Dallo studio ARNO emerge la necessità di trasferire i dati ottenuti dai trial clinici nella real life e di attivare studi di outcome, per verificare l’evoluzione della condizione dei pazienti. Inoltre, considerando che le ri-ospedalizzazioni nella metà dei casi sono dovute a cause non cardiovascolari, se si vuole intervenire con strategie efficaci e ridurre il burden complessivo di questa patologia, bisogna pensare ad un approccio multidisciplinare, attraverso il quale trattare il paziente nella sua globalità. I costi più elevati dello scompenso cardiaco tra tutte le patologie croniche meritano un’attenzione particolare. Per ridurli in modo significativo, bisogna incidere sui ricoveri e, anche in questo caso, dal momento che le ri-ospedalizzazioni sono dovute a una molteplicità di cause, è necessario un approccio multidisciplinare.
IN GENERALE COME STA EVOLVENDO LO SCENARIO TERAPEUTICO DELLO SCOMPENSO CARDIACO? QUALI SONO LE PROSPETTIVE?
Nell’immediato futuro avremo la possibilità di utilizzare nuovi farmaci come LCZ696, attualmente in valutazione presso l’EMA e già approvato dall’FDA, che ha dimostrato una superiorità rispetto agli ACE-inibitori nel ridurre sia la mortalità che i ricoveri. Per adesso dobbiamo cercare di usare al meglio tutto quello che è disponibile: anti-aldosteronici, beta-bloccanti e i bloccanti del sistema renina-angiotensina.
Fonte: Pro Format Comunicazione – Ufficio stampa
Fonte: Vedi scheda: Scompenso cardiaco