MedicinaOltre.com PATOLOGIE    DIZIONARIO MEDICO     CONTATTI     PUBBLICITA'    CREDITS     HOME 
MedicinaOltre - guida pratica per la famiglia
TUTTI GLI ARTICOLI:
RICERCA SU TUTTO IL SITO:

RICERCA ARTICOLI







Oncologia (Articoli - 2013-03-06 09:06:41)

Linfomi: Terapie innovative, le eccellenze del modello lombardo in Ematologia

Assicurare a tutti i pazienti lombardi i percorsi di cura e le terapie più aggiornate ed efficaci per il trattamento delle malattie del sangue, come gli anticorpi monoclonali, che hanno rivoluzionato l’approccio terapeutico nei confronti dei linfomi e cambiato le prospettive di sopravvivenza. Intorno a questo obiettivo si è costituta nel 2008 la Rete Ematologica Lombarda (REL) cui aderiscono tutte le strutture sanitarie della Regione impegnate nella cura delle malattie del sangue quali leucemie, linfomi, mielomi, anemie, patologie emorragiche e trombotiche e che oggi rappresenta un modello di riferimento nazionale che permette ai pazienti di beneficiare dei migliori percorsi diagnostico-terapeutici e di accedere alle terapie più innovative.

L’impegno a 360° della REL è stato illustrato oggi in un incontro pubblico, nel corso del quale è stato fatto il punto sul “modello lombardo” in ematologia e sui più recenti traguardi raggiunti dalla ricerca scientifica nazionale e internazionale contro le malattie del sangue. L’evento s’inserisce nel progetto itinerante All around Patients, volto a far conoscere le iniziative delle strutture ospedaliere italiane per mettere i pazienti ematologici al centro di tutti i percorsi diagnostici e terapeutici.

«Scopo della Rete Ematologica Lombarda è garantire ai cittadini della Regione pari opportunità di cura e appropriatezza di interventi in tutte le strutture sanitarie collegate», afferma Enrica Morra, Direttore Dipartimento di Ematologia e Oncologia, Direttore Struttura Complessa di Ematologia, A.O. Ospedale Niguarda Cà Granda di Milano.

«Attualmente i centri afferenti alla rete sono 107, comprendono le 12 Divisioni specialistiche di Ematologia della Regione e tutte le altre strutture presenti sul territorio regionale dotate di settori e personale dedicati alla diagnosi e alla cura delle malattie del sangue: un’organizzazione che permette la tempestiva diffusione delle informazioni scientifiche e una crescita omogenea della cultura in campo ematologico».

Una delle peculiarità dei centri della REL è infatti l’inserimento nei circuiti di ricerca dove si sperimenta l'innovazione farmacologica, che mette al centro la qualità di vita del paziente anche nella malattie ematologiche. I centri lombardi sono attualmente coinvolti in studi clinici internazionali volti a sperimentare una nuova formulazione degli anticorpi monoclonali a somministrazione sottocutanea per il trattamento dei linfomi.

«La somministrazione sottocute di anticorpi monoclonali presenta indubbi vantaggi: maggiore accettazione della terapia meno invasiva e più rapida, a fronte delle 5-6 ore di infusione endovenosa sono sufficienti meno di dieci minuti, risparmio di tempo per il paziente, minore ospedalizzazione e costi ridotti per il Centro», afferma Giuseppe Rossi, Direttore Struttura Complessa di Ematologia e Dipartimento Oncologia Medica, A.O. Spedali Civili di Brescia, «ma la qualità di vita passa anche attraverso nuove molecole in sperimentazione più potenti e sempre meglio tollerate, in quanto rivolte verso specifici bersagli molecolari».

I linfomi sono tumori del sistema linfatico e rappresentano la malattia oncoematologica più frequente. Nel mondo occidentale i linfomi non-Hodgkin sono il 5° tipo di tumore per diffusione e si prevede che nel 2030 saranno le neoplasie più diffuse a livello mondiale dal momento che negli ultimi 20 anni la loro incidenza è costantemente aumentata. In Italia ogni anno si contano 12.000 nuovi casi. Negli ultimi anni si è però registrata una sensibile riduzione della mortalità per linfomi, pari al 10-15%.

«L’avvento degli anticorpi monoclonali, in grado di colpire il difetto della cellula linfomatosa, è stato il punto di svolta, insieme a una migliore conoscenza della malattia, che ha permesso di identificare le diverse famiglie di linfoma, favorendo la personalizzazione della cura con molecole innovative specifiche per quel particolare linfoma e per il singolo paziente», afferma Luca Baldini, Professore di Ematologia, Università degli Studi di Milano e Fondazione IRCCS Policlinico. Con rituximab, capostipite degli anticorpi monoclonali utilizzati contro il linfoma, la sopravvivenza dei pazienti colpiti dalla forma aggressiva è passata infatti dal 50% a più del 70%.

Altra importante opzione terapeutica per le forme di linfoma particolarmente aggressive è il trapianto di cellule staminali emopoietiche, terapia di seconda linea o “di salvataggio” dopo che si è documentata una ricaduta della malattia oppure quando la malattia è resistente alla terapia di prima linea.

«Il trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe consente di ottenere una remissione completa nella maggior parte dei pazienti con linfoma che hanno ricadute della malattia dopo una precedente linea di terapia», afferma Alessandro Rambaldi, Direttore U.S.C. Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII di Bergamo. «Questa remissione è duratura nel tempo in oltre il 50% dei casi. Per i pazienti che non rispondono alla terapia di salvataggio o per quei pazienti che ricadono dopo essere stati trattati con essa, si può porre l’indicazione al trapianto allogenico che permette di guarire in maniera definitiva oltre la metà di questi pazienti».

Grazie al supporto della Rete Ematologica Lombarda, in Lombardia le attività di trapianto che fanno capo al GITMO (Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo) sono organizzate in modo da coprire adeguatamente i bisogni dei pazienti che possono trovare Centri trapianto ben distribuiti sul territorio e con elevati standard di qualità.

LA RETE EMATOLOGICA LOMBARDA, CIRCUITO DELL’INNOVAZIONE PER LE MALATTIE DEL SANGUE

Intervista a Enrica Morra, Direttore Dipartimento di Ematologia e Oncologia
Direttore Struttura Complessa di Ematologia, A.O. Ospedale Niguarda Cà Granda - Milano

QUANDO E CON QUALI OBIETTIVI È STATA COSTITUITA LA RETE EMATOLOGICA LOMBARDA (REL) E QUALI SONO LE STRUTTURE CHE VI FANNO RIFERIMENTO?
La REL nasce con Delibera del febbraio 2008 da una decisione della giunta regionale lombarda con l’obiettivo di costruire una rete tra tutti i Centri ospedalieri della regione Lombardia impegnati nella cura delle malattie del sangue quali leucemie, linfomi, mielomi, anemie, patologie emorragiche e trombotiche.
Alla luce dei nuovi scenari terapeutici di quegli anni caratterizzati dalla disponibilità di farmaci innovativi molto efficaci scopo della Rete Ematologica doveva essere quello di garantire ai cittadini lombardi pari opportunità di cura e appropriatezza di interventi in tutte le strutture sanitarie della Regione collegate alla REL.
Attualmente i centri afferenti alla rete sono 107, comprendono le 12 Divisioni specialistiche di Ematologia della Regione e tutte le altre strutture presenti sul territorio regionale dotate di settori e personale dedicati alla diagnosi e alla cura delle malattie del sangue, quali reparti di Oncologia e di Medicina Interna, Servizi Trasfusionali, presenti sia in aziende ospedaliere che private accreditate.

QUALI SONO LE PRINCIPALI ATTIVITÀ SVOLTE DALLA REL?
Dopo una fase iniziale di mappatura dei Centri e del personale, che nel tempo sono cresciuti, e di impostazione del collegamento informatico della Rete, le attività principali dal momento in cui siamo diventati operativi sono state: la formazione e l’aggiornamento prezioso del personale sanitario per garantire la tempestiva diffusione delle informazioni scientifiche e una crescita omogenea della cultura in campo ematologico. Ciò è avvenuto anche mediante la condivisione delle esperienze sull’uso degli innovativi anticorpi monoclonali, Glivec prima e poi Rituximab, che non tutti sapevano usare con il rischio di vanificarne l’elevata efficacia. Una formazione specifica è stata dedicata ai temi della farmacovigilanza e alla gestione del rischio clinico. Sono state istituite Commissioni tecniche su patologie specifiche guidate dalle eccellenze mediche del settore per l’elaborazione di percorsi diagnostico-terapeutici ed assistenziali condivisi che si reggono sulla presenza di personale infermieristico super specializzato e che includono anche raccomandazioni specifiche sulla appropriatezza dell’impiego degli esami diagnostici e dei farmaci, e sulla sostenibilità.
Sono stati creati inoltre Registri di patologia per studi epidemiologici e ricerche cliniche.
Abbiamo anche uno spazio dedicato alla educazione-informazione dei malati che comprendono riunioni medico-paziente e i loro familiari su specifiche malattie del sangue e sui progressi delle terapie. Infine, la promozione di progetti di ricerca indipendenti e di studi clinici cooperativi.

QUALI SONO LE PATOLOGIE EMATOLOGICHE DI CUI LA REL SI OCCUPA?
Nelle Commissioni tematiche per area clinica ci occupiamo di leucemie acute, sindromi mielodisplastiche, malattie mieloproliferative croniche, leucemia linfatica cronica, linfomi maligni, mieloma, malattie trombotiche ed emorragiche, anemie. Abbiamo anche una Commissione sulle Terapie Cellulari, ossia il trapianto di cellule staminali autologhe e allogeniche. Più recentemente abbiamo attivato una Commissione per l’Ospedalizzazione Ematologica Domiciliare.

OGGI, GRAZIE ALLA REL, UN PAZIENTE EMATOLOGICO HA LA GARANZIA DI RICEVERE LE TERAPIE PIÙ INNOVATIVE IN OGNI STRUTTURA AFFERENTE? COME È ORGANIZZATA LA REL PER RENDERE APPLICABILE QUESTO NEL QUOTIDIANO?
La REL ha lo scopo di garantire a tutti i cittadini, ovunque residenti, il trattamento più aggiornato ed appropriato per la loro malattia. In particolare le terapie innovative includono sia farmaci che procedure di cura ad alta complessità.
Mi riferisco innanzitutto ai farmaci ad alto costo con azione mirata sul bersaglio molecolare specifico di quel tumore, come gli anticorpi monoclonali, o sui meccanismi dell’oncogenesi, ad esempio il Glivec, magic bullet contro la leucemia mieloide cronica. Vi sono inoltre procedure di cura ad alta complessità come il trapianto di cellule staminali autologo e allogenico.
Le strutture afferenti alla REL si differenziano in base ai diversi livelli di intensità assistenziale e terapeutica che possono offrire. Per esempio, le 12 strutture complesse di Ematologia sono in grado di effettuare tutte le fasi diagnostiche, terapeutiche e assistenziali per leucemie acute, linfomi aggressivi e mielomi, comprendenti le terapie ad alte dosi e il trapianto di cellule staminali sia autologo che allogenico. A queste 12 strutture, dette di Terzo Livello, fanno riferimento i Centri di Secondo Livello qualora un loro paziente necessiti di terapie ad alta complessità. I Centri di Primo Livello possono garantire tutte le terapie, anche quelle con farmaci innovativi, gestibili ambulatorialmente senza rischi per il paziente.
Alcuni Centri, infine, si occupano prevalentemente della terapia anticoagulante e del suo delicato monitoraggio.
In conclusione, grazie alla Rete Ematologica ogni cittadino lombardo ovunque residente può accedere con tempestività e in completa sicurezza alle moderne modalità di cura per le malattie del sangue, qualunque sia il grado di complessità terapeutica richiesto dalla sua patologia.

_________________________________

PERSONALIZZAZIONE DELLA TERAPIA, NUOVA FRONTIERA DELLA LOTTA AI LINFOMI

Intervista a Luca Baldini, Professore di Ematologia, Università degli Studi di Milano e Fondazione IRCCS Policlinico di Milano

COME SI CARATTERIZZANO I LINFOMI NELL’AMBITO DELLE MALATTIE EMATOLOGICHE? E QUALI SONO I DATI EPIDEMIOLOGICI RELATIVI ALLA LORO DIFFUSIONE IN ITALIA?
I linfomi sono tumori del sistema linfatico che possono originare sia dai linfociti B che dai linfociti T; essi rappresentano la malattia oncoematologica più frequente e si posizionano al 5°-6° posto in termini di incidenza tra tutti i tumori della popolazione adulta.
In Italia i dati raccolti dai registri provinciali rilevano un’incidenza annua pari a 23-25 nuovi casi l’anno per 100.000 abitanti.
Negli ultimi decenni si è riscontrato un incremento dell’incidenza, in particolare per i linfomi non Hodgkin, che ha toccato il picco massimo attorno al 1980-1990 in concomitanza con l’esplosione dell’AIDS, malattia che può facilitare l’insorgenza di queste neoplasie del sangue. Globalmente nell’ultimo trentennio si è assistito ad un aumento dei linfomi pari al 20-25%.
L’età media di insorgenza è intorno ai 60-65 anni, come per molti tumori la loro frequenza aumenta con l’età. Da notare una lieve prevalenza dei linfomi nel sesso maschile.

ESISTONO DIVERSI TIPI DI LINFOMA: QUALI SONO LE DIFFERENZE PRINCIPALI, ANCHE IN TERMINI DI PROGNOSI PER I PAZIENTI?
I linfomi si dividono in 2 grandi categorie: linfomi di Hodgkin (LH) e linfomi non Hodgkin (LNH), in onore del grande medico inglese Thomas Hodgkin che nel 1832 descrisse 7 casi di pazienti affetti da disordini patologici della milza e delle linfoghiandole che rappresentavano i primi casi di un morbo poi chiamato appunto “morbo di Hodgkin.”
Il rapporto di incidenza tra LNH e LH è pari a 4:1.
Le cause dei linfomi non sono note, tranne in alcuni rari casi nei quali è stata dimostrata una relazione stretta con agenti virali o infettivi. Le radiazioni ionizzanti, i pesticidi e le terapie immunosoppressive possono avere un ruolo predisponente. Esiste inoltre una predisposizione familiare ad ammalarsi di questi tumori.
Sebbene i linfomi possano originare dai linfociti B o dai linfociti T (le cellule del sistema immunitario che svolgono funzioni di difesa nei confronti delle infezioni), la netta prevalenza di essi (90%) origina dalle cellule linfocitarie B. Le forme che originano dalla linea linfocitaria T hanno spesso una prognosi severa.
I linfomi non Hodgkin (LNH), a loro volta, si distinguono in diversi istotipi: i principali sono 15; i tipi più comuni di LNH sono il linfoma follicolare, il linfoma a larghe cellule B, i linfomi della zona marginale, i linfomi mantellari. I linfomi di Hodgkin (LH) sono distinti in 5 istotipi, anche se la forma a sclerosi nodulare è nettamente la più frequente.
Una caratteristica che contraddistingue tra loro i linfomi non Hodgkin (LNH) è l’eterogeneità. A partire dal 1994 è stata proposta una classificazione basata oltre che sulle caratteristiche istomorfologiche anche su quelle fenotipiche e genetico-molecolare dei vari tipi di LNH; questa messa a punto ha permesso di comprendere il diverso comportamento clinico delle varie forme e di adottare terapie sempre più personalizzate. Il progredire della diagnostica strumentale, per esempio l’uso della PET, ha consentito inoltre una più precisa stadiazione della malattia e un più sensibile controllo della risposta alla terapia. Poter identificare con precisione il tipo di linfoma e definire l’entità della diffusione della malattia permettono di stratificare i pazienti in senso prognostico e quindi di diversificare le terapie sia modulando in modo ottimale l’utilizzo degli agenti terapeutici disponibili sia evitando la somministrazione di massicce dosi di chemio e radioterapia (agenti a loro volta mutageni) quando non è necessario.
Dal punto di vista clinico i linfomi possono avere un andamento indolente, aggressivo, molto aggressivo. I linfomi indolenti la cui scoperta è spesso casuale, difficilmente guariscono, ma possono essere curati con sopravvivenze di molti anni; in alcuni casi il trattamento immediato non è obbligatorio. I linfomi aggressivi devono essere trattati immediatamente e o rispondono subito oppure la prognosi diventa infausta. Nel complesso si ottiene una buona percentuale di guarigioni. I linfomi aggressivi della linea B presi allo stadio iniziale hanno una probabilità di guarigione prossima al 90%, in stadio avanzato al 60%; ancora insoddisfacenti sono i risultati nei linfomi della linea T cellulare, con percentuali di durata della vita libera da malattia a cinque anni globalmente vicina al 30%; i linfomi di Hodgkin (LH) in forma iniziale hanno prognosi favorevole fino al 90-95% che scende all’80% nelle forme più avanzate.

QUALI SONO I SINTOMI CHE PERMETTONO DI RICONOSCERE UN LINFOMA E QUALI GLI STRUMENTI DIAGNOSTICI PIÙ EFFICACI PER IDENTIFICARLO?
Il sistema linfatico, dal quale originano i linfomi, è distribuito in tutto il nostro organismo: in maniera organizzata nelle linfoghiandole e nella milza, in modo disseminato in tutti gli altri organi (midollo osseo, apparato gastrointestinale, apparato respiratorio, cute, ghiandole salivari e lacrimali etc.), a baluardo di difesa contro le infezioni che provengono dall’esterno.
In teoria quindi un linfoma può nascere da qualsiasi parte del nostro corpo; in pratica le sedi più frequentemente interessate sono quelle primariamente linfatiche, quindi linfonodi e milza.
Di conseguenza il segno più frequente è l’ingrossamento di un linfonodo. Se è superficiale (ascella, collo, inguine), il paziente può accorgersene e rivolgersi al medico. Se è profondo (torace e addome), il linfonodo può crescere e dare segni di sé solo quando determina disturbi da compressione (mancanza di respiro o tosse se è nel torace, disturbi intestinali o dolore se in addome). Quando la patologia interessa la milza, il paziente può sentire un peso al fianco sinistro accompagnato da digestione difficoltosa; nel caso in cui il linfoma originasse nel tessuto linfatico disperso, i sintomi sono legati all’organo in cui si manifesta (stomaco, bronchi, cute, ghiandole salivari o lacrimali).
A volte il linfoma può nascere dal midollo osseo e dare luogo a una sintomatologia leucemica e/o da anemia e/o da calo delle piastrine. In questi casi sono gli esami ematologici ad orientare in senso diagnostico.
Il linfoma di Hodgkin interessa più frequentemente i giovani (20-30 anni) ed ha una presentazione clinica abbastanza costante: ingrossamento di linfonodi del collo o delle ascelle, frequente coinvolgimento delle ghiandole intratoraciche (mediastino) con conseguente tosse, prevalentemente notturna, e/o dipnea anche per sforzi modesti.
Nei linfomi possono essere presenti anche sintomi sistemici quali: calo ponderale, febbre, sudorazioni notturne e prurito.
Alla diagnosi di certezza si arriva con l’esame istologico mediante biopsia di un linfonodo o di una sede anatomica sospetta di malattia (midollo osseo, cute, stomaco, intestino, bronchi).
Fatta la diagnosi istologica si deve eseguire lo staging di malattia facendo ricorso ai seguenti esami: TAC, PET e biopsia midollare.
Definita la diagnosi, si procede alla stadiazione della patologia e all’inserimento del caso clinico in una categoria di rischio (definita sulla base di una serie di parametri clinici, strumentali e di laboratorio) che condiziona la scelta della terapia ottimale.

COME È CAMBIATO IN QUESTI ANNI LO SCENARIO TERAPEUTICO PER I LINFOMI? QUALI SONO OGGI LE PROSPETTIVE PER CHI RICEVE UNA DIAGNOSI, ANCHE IN TERMINI DI PROGNOSI PER I PAZIENTI?
Negli ultimi 30 anni c’è stata una riduzione sensibile della mortalità per linfomi, pari al 10-15%. Il miglioramento delle cure e dei risultati è attribuibile ad almeno tre buone ragioni.
Tanto per cominciare la maggiore comprensione del pianeta linfomi: come abbiamo detto ne esistono forme diverse ognuna con peculiari caratteristiche clinico-patologiche e sensibilità ai trattamenti disponibili. Per questo motivo la Fondazione Italiana Linfomi da anni ha istituito diverse Commissioni di studio della diagnosi e cura dei linfomi sulla base del tipo di tumore.
La seconda ragione è la scoperta di molecole ad azione biologica che si sono affiancate negli anni alla terapia classica basata sulla chemioterapia e radioterapia. Il lavoro iniziato 20 anni orsono ha cominciato a dare i suoi frutti una decina di anni fa, quando sono entrati nell’armamentario terapeutico i cosiddetti “biologici”, farmaci in grado di colpire la cellula linfomatosa agendo su marcatori fenotipici o genetici specifici della cellula tumorale. Il capostipite è rituximab, il cui impiego terapeutico è iniziato alla fine degli anni ’90. Molto usato nei linfomi non Hodgkin originati dalle cellule B (linea B cellulare), è un anticorpo monoclonale che si lega ad un marker di membrana cellulare presente sulle cellule B, normali e patologiche, chiamato antigene CD20, innescando un processo di distruzione cellulare su base immunologica.
La rilevanza di rituximab sta nel fatto che mentre il chemioterapico, cui spesso viene associato, agisce sul DNA delle cellule proliferanti normali e patologiche di vari organi, l’anticorpo spara solo sulle cellule B. A partire da rituximab si è aperta la strada per la produzione di nuove forme di anticorpi anti CD20 o la produzione di nuovi anticorpi monoclonali che vanno a colpire altri marker, quale il CD30 che ha portato recentemente ottimi risultati terapeutici nei linfomi di Hodgkin e anaplastici non responsivi alle cure tradizionali. Oltre agli anticorpi monoclonali, la terapia con armi biologiche si è arricchita di nuovi agenti che agiscono in modo mirato su passaggi metabolici che esaltati nella cellula linfomatosa ne favoriscono la crescita patologica (inibitori delle chinasi, dei proteosomi, dell’istone deacetilasi etc.). Si è compreso infine come l’uso di alcuni farmaci immunomodulatori (quali lenalidomide o temsirolimus), utilizzati in clinica per altri scopi o in altre malattie tumorali, possa avere un effetto terapeutico significativo anche in certi tipi di linfomi.
Sicuramente rituximab resta ad oggi il farmaco biologico più utilizzato nella cura dei linfomi. È in fase di studio la sua somministrazione per via sottocutanea che presenta numerosi vantaggi sia per il paziente che per gli operatori sanitari. Con la somministrazione sottocute vengono raggiunte concentrazioni efficaci non inferiori a quelle della somministrazione endovenosa con un profilo di sicurezza comparabile, se non migliore, e la stessa efficacia del rituximab endovena.
Da ultimo, sono migliorati per qualità e quantità gli studi clinici che, nonostante le difficoltà di carattere burocratico, hanno contribuito ad ottimizzare la terapia per le varie forme e presentazioni cliniche di linfoma. Tutto questo, insieme alle terapie di supporto (fattori di crescita) e alle terapie delle complicanze (antibiotici, antivirali e antifungini), ha portato ad un netto prolungamento della durata di vita e ad un miglioramento della qualità di vita dei pazienti con linfoma.

_________________________________

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO NEL LINFOMA: OPZIONE EFFICACE CONTRO LE FORME PIÙ AGGRESSIVE

Intervista a Alessandro Rambaldi, Direttore U.S.C. Ematologia e Trapianto di Midollo Osseo, Azienda Ospedaliera Papa Giovanni XXIII - Bergamo

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO È UNA DELLE OPZIONI CHE L’EMATOLOGO PUÒ VALUTARE NEL TRATTAMENTO DELLE MALATTIE DEL SANGUE: QUANDO VIENE UTILIZZATO E CHE IMPORTANZA HA IN PRESENZA DI UNA DIAGNOSI DI LINFOMA?
Il trapianto di cellule staminali emopoietiche viene utilizzato solo in alcuni pazienti che presentano forme di linfoma particolarmente aggressive. Nella maggioranza dei casi questa modalità terapeutica costituisce una terapia di seconda linea o “di salvataggio” dopo che si è documentata una ricaduta della malattia oppure quando la malattia è resistente alla terapia di prima linea. Il trapianto può essere considerato parte della terapia di prima linea soltanto in alcuni tipi di linfoma come il linfoma mantellare o quello linfoblastico.

QUALE TIPO DI TRAPIANTO VIENE UTILIZZATO PER IL PAZIENTE EMATOLOGICO CON LINFOMA?
Nella grande maggioranza dei casi il trapianto di cellule staminali emopoietiche viene effettuato utilizzando le cellule dello stesso paziente (trapianto autologo) che sono prima raccolte e poi congelate nel corso del programma terapeutico. Questa procedura consente al medico di impiegare dosi molto elevate di chemioterapia, in alcuni casi combinata alla radioterapia, in modo da vincere la resistenza del linfoma.
A questi dosaggi terapeutici tuttavia anche il midollo osseo normale del paziente viene danneggiato. L’infusione delle cellule staminali autologhe dopo questa “megadose” di chemio-radioterapia permette al malato di superare la tossicità del trattamento e spesso porta ad ottenere una guarigione definitiva della malattia.
In una piccola frazione di pazienti che purtroppo si dimostrano resistenti anche a questa modalità terapeutica, è possibile ricorrere al trapianto allogenico. Questa tipologia di trapianto richiede l’individuazione di un donatore compatibile (reperibile tra i familiari o nei registri internazionali dei donatori che oggi raccolgono oltre 20 milioni di volontari). Rispetto al trapianto autologo, quello allogenico aggiunge anche un effetto immunologico di controllo della patologia, infatti per quanto compatibile ogni donatore resta comunque un po’ diverso rispetto al paziente. Questa minima ma fondamentale diversità permette al sistema immunitario del donatore di attaccare e distruggere anche le residue cellule linfomatose e consentire così la guarigione persino ai pazienti più resistenti alla chemioterapia.
Purtroppo questo effetto immunologico può essere diretto contro le cellule sane del ricevente, evenienza che può essere motivo di tossicità anche molto grave generando la cosiddetta “malattia del trapianto contro l’ospite”. È per questo che il trapianto allogenico è ancora indicato solo per una piccola percentuale di pazienti di età non superiore ai 65 anni e che non abbiano significative patologie associate.

QUALI SONO I RISULTATI E LE PERCENTUALI DI SOPRAVVIVENZA E DI GUARIGIONE?
I risultati sono diversi a seconda del tipo di linfoma. In generale possiamo dire che il trapianto di cellule staminali emopoietiche autologhe consente di ottenere una remissione completa nella maggior parte dei pazienti con linfoma che hanno ricadute della malattia dopo una precedente linea di terapia. Questa remissione è duratura nel tempo in oltre il 50% dei casi. Per i pazienti che non rispondono alla terapia di salvataggio o per quei pazienti che ricadono dopo essere stati trattati con essa, si può porre l’indicazione al trapianto allogenico che permette di guarire in maniera definitiva oltre la metà di questi pazienti.

COME È ORGANIZZATO IL GRUPPO ITALIANO PER IL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO? COME FA RICERCA E COME COLLABORA CON LA REL?
L’attività di trapianto è organizzata in Italia da una Società scientifica denominata GITMO (Gruppo Italiano Trapianto Midollo Osseo) che coordina l’attività di tutti i ricercatori italiani (medici, biologi, statistici, data manager, infermieri) che si occupano prevalentemente di questa specifica materia.
Il GITMO ha messo a punto e aggiorna continuamente gli standard delle attività (le indicazioni al trapianto, le tipologie di trapianto indicate per singolo paziente) e soprattutto registra l’insieme dell’attività trapiantologica che viene effettuata nel nostro Paese.
Per tale motivo il GITMO detiene i dati nazionali che consentono di capire quali sono i risultati ottenuti a lungo termine. Com’è naturale questi dati sono oggetto di importanti pubblicazioni scientifiche realizzate dal GITMO in questi anni e che hanno rappresentato lo strumento fondamentale per il progresso della disciplina trapiantologica italiana.
Il GITMO collabora quotidianamente con il Registro italiano donatori di midollo osseo (IBMDR) che conduce le ricerche per identificare i donatori non familiari di cellule staminali emopoietiche o le unità di cordone ombelicale con i quali possiamo offrire l’opzione terapeutica del trapianto allogenico a tanti pazienti che non dispongono di un donatore in famiglia. Il GITMO è responsabile della comunicazione di questi dati alla comunità scientifica internazionale rappresentata in Europa dall’European Blood and Marrow Transplant (EBMT) e soprattutto alle autorità sanitarie competenti rappresentate in Italia dal Centro Nazionale Trapianti (CNT).
Poiché in Italia l’attività è organizzata a livello regionale, è importante che in Lombardia si sia costituita una rete di coordinamento (REL) che consente agli ematologi e ai pediatri che svolgono attività di trapianto di colloquiare con le autorità regionali. Questo ci ha permesso di organizzare l’attività di trapianto in Lombardia in modo da coprire adeguatamente i bisogni dei pazienti che possono trovare Centri trapianto ben distribuiti sul territorio e con garanzie di qualità a seconda del tipo di trapianto che ad essi può essere offerto.

_________________________________

LA RIVOLUZIONE DEGLI ANTICORPI MONOCLONALI CONTINUA: DALLE NUOVE FORMULAZIONI A FARMACI SEMPRE PIÙ MIRATI

Intervista a Giuseppe Rossi, Direttore Struttura Complessa di Ematologia e Dipartimento Oncologia Medica Azienda Ospedaliera Spedali Civili - Brescia

CHA COSA HA SIGNIFICATO NELLO SCENARIO TERAPEUTICO DEI LINFOMI L’AVVENTO DEGLI ANTICORPI MONOCLONALI? QUALI FORME NE HANNO BENEFICIATO MAGGIORMENTE?
L’arrivo degli anticorpi monoclonali, i più importanti fra i cosiddetti farmaci biologici, nei primi anni Novanta ha significato moltissimo, tanto da poter affermare che queste innovative molecole costruite con l’ingegneria genetica hanno rivoluzionato l’approccio terapeutico con cui fino a quel momento venivano trattati i linfomi.
L’anticorpo monoclonale più noto e più usato soprattutto nei linfomi non Hodgkin (LNH) originati dalla linea B cellulare è senz’altro rituximab, autorizzato al momento per somministrazione endovenosa, che ha la capacità di legarsi all’antigene CD20 presente sulla membrana di tutte le cellule B, normali e linfomatose, inducendo la morte cellulare di queste ma risparmiando le altre cellule proliferanti normali che sono invece danneggiate quando si usa la chemioterapia.

OGGI VENGONO STUDIATE NUOVE MOLECOLE E NUOVE MODALITÀ DI SOMMINISTRAZIONE PER IL TRATTAMENTO DEL LINFOMA: CI PUÒ DARE UN QUADRO DELLE PRINCIPALI NOVITÀ?
Sono in fase avanzata gli studi clinici su nuove modalità di somministrazione degli anticorpi monoclonali. In particolare si studia la possibilità di somministrare rituximab per via sottocutanea. I risultati iniziali indicano indubbi vantaggi: maggiore accettazione della terapia meno invasiva e più rapida, a fronte delle 5-6 ore di infusione endovenosa sono sufficienti dieci minuti, risparmio di tempo per il paziente, minore ospedalizzazione e costi ridotti per il Centro. Al tempo stesso proseguono gli studi su altri anticorpi monoclonali, quali il nuovo anticorpo anti-CD20 GA101, che si spera possa risultare ancora più efficace di rituximab, o brentuximab-vedotin, che si lega a un altro recettore di membrana, il CD30, e porta direttamente dentro la cellula tumorale la sostanza tossica. Al momento le indicazioni d’uso clinico sono limitate ai linfomi di Hodgkin e al linfoma anaplastico che non rispondono alle terapie standard (chemio e trapianto). In fase iniziale di sperimentazione sono le cosiddette “small molecules” (ibrutinib, CAL-101), piccole molecole somministrate per via orale che spengono il segnale intracellulare di attivazione di cui hanno bisogno i linfociti B per funzionare e che è costantemente “acceso” in alcuni linfomi.

QUALI SONO I BENEFICI CHE QUESTE NOVITÀ POTRANNO COMPORTARE PER I PAZIENTI?
Siamo prossimi ad una svolta importante: il passaggio dall’èra della chemioterapia che distrugge tutto a quella di farmaci altamente selettivi che oltre a risparmiare le cellule sane assicurano una migliore qualità di vita al paziente. Questo non significa che non useremo più la chemioterapia, ma che avremo maggiori opportunità terapeutiche sempre più mirate al difetto molecolare o genetico del singolo linfoma. Naturalmente così come è avvenuto per rituximab, anticorpo monoclonale del quale oggi conosciamo molto bene il funzionamento, l’efficacia e i possibili effetti indesiderati, dovranno trascorrere diversi anni per comprendere appieno le potenzialità e i possibili effetti collaterali dei farmaci in arrivo.

Fonte: Per ulteriori informazioni visitare il sito ufficiale della Rete Ematologica Lombarda