La Neurostimolazione, è veramente possibile NON sentire più dolore?
Il dolore al pari di un’ombra è dietro di noi, a volte rimane in disparte, a volte si pone in primo piano manifestandosi nel corso della nostra esistenza con modalità ed intensità svariate, in situazioni fisiologiche normali o in situazioni patologiche.
La percezione del dolore, com’è noto, non è oggettiva ma può variare da soggetto a soggetto, soprattutto in base a fattori psicologici. Dare una definizione del dolore è cosa alquanto complessa; gli addetti ai lavori definiscono il dolore come una spiacevole esperienza sensoriale ed emotiva associata ad un danno tissutale attuale o potenziale. Si deduce da questa definizione che il dolore non è una sensazione come la vista o l’udito, bensì è una percezione che scaturisce non solo dal rilevamento delle modificazioni chimiche secondarie al danno tissutale, ma anche dall’interpretazione personale della lesività di tale danno. Non tutto quello che è doloroso è dannoso ma la percezione del dolore è reale sia se il danno sia o non sia avvenuto o stia o non stia avvenendo. Questa visione così articolata è ben lontana dalla concezione cartesiana del dolore considerato come una campana che suona l’allarme dalla propria torre ogni qualvolta si verifichi un danno tissutale; così toccando un oggetto rovente l’immediata percezione del dolore provocherà il rilascio dell’oggetto evitando l’ustione delle dita. Questa visione finalistica del dolore non spiega i cosiddetti falsi allarmi ovvero perché, in alcune situazioni, la campana dolore suoni in assenza di danno tissutale. In effetti il dolore, che è sempre soggettivo, rappresenta un’esperienza cognitiva ed emozionale capace di determinare reazioni emotive e comportamentali.
La classe medica ha da sempre avuto un atteggiamento rinunciatario e di scarsa sensibilità nei riguardi del sintomo dolore, pur avendo questo enormi influenze e ripercussioni sullo stato di salute sia fisico sia psichico del paziente. Solo da alcuni anni si è superato il pregiudizio sull’utilizzo, su più ampia scala, dei farmaci analgesici e delle tecniche antalgiche garantendo un significativo miglioramento della qualità di vita al paziente. Il dolore può essere classificato in dolore nocicettivo e in dolore neuropatico: il primo è dovuto alla trasmissione del trauma al sistema nervoso centrale da parte di nervi normali; il secondo è determinato da una lesione primitiva o da una disfunzione del sistema nervoso e può essere periferico (lesione nei nervi periferici) e o centrale (danno a livello del sistema nervoso centrale). Il dolore nocicettivo è scatenato dall’attivazione delle terminazioni nervose, i recettori del dolore (nocicettori), da parte del trauma (stimoli meccanici, termici, elettrici, chimici, viscerali); lo stimolo doloroso viene dunque raccolto dai nocicettori e trasmesso mediante le fibre dei nervi (fibre di diametro piccolo a conduzione rapida e fibre a diametro grande a conduzione lenta) al midollo spinale. Una volta entrate nel midollo, le fibre stabiliscono connessioni verso l’alto e verso il basso e con le strutture adiacenti tessendo una fitta rete di connessioni nervose dalle quali originano le vie ascendenti che trasmettono l’informazione nocicettiva del dolore al cervello.
Nel 1965 Patrick Wall e Ronald Melzack formularono la “teoria del cancello” (Gate control theory) sulla regolazione della trasmissione degli impulsi dolorosi dalla periferia al cervello. La trasmissione sarebbe correlata all’equilibrio delle informazioni che passano per il midollo spinale attraverso le fibre di diametro largo (non nocicettive) e quelle di diametro piccolo (nocicettive); se prevale l’attività nelle fibre larghe il dolore sarà lieve od assente (cancello chiuso) se invece prevale la trasmissione lungo le fibre sottili si percepirà il dolore (cancello aperto).
Il funzionamento del cancello possiamo verificarlo se malauguratamente ci martelliamo o ci ustioniamo un dito, la prima reazione sarà quella di soffiare, strofinare, comprimere la zona traumatizzata, queste manovre non fanno altro che attivare la trasmissione lungo le fibre larghe ed inibire quindi la trasmissione del dolore lungo le fibre sottili (cancello chiuso), il risultato sarà quello di una ridotta percezione del dolore. Questo meccanismo inibitorio viene sfruttato ai fini terapeutici nella neurostimolazione del midollo spinale (Spinal Cord Stimulation SCS) per combattere alcuni tipi di dolore cronico benigno (non correlato a malattie neoplastiche) quale quello secondario a ripetuti interventi sulla colonna vertebrale (sindrome post-laminectomia, low back pain, failed back surgery sindrome), le nevralgie post-erpetiche, il dolore da arto fantasma (dolore dell’amputato), il dolore da lesione di un nervo, l’angina pectoris (dolore da ischemia cardiaca), il dolore da vasculopatia ostruttiva periferica (arteriosclerosi arti inferiori), Morbo di Reynaud, i dolori pelvici, le cefalee e trova altresì applicazione in tutte le sindromi cliniche complesse quali l’epilessia, il parkinsonismo e la spasticità, e in tutti i dolori fibromialgici.
La SCS è una tecnica antalgica reversibile per il controllo ed il trattamento del dolore cronico benigno intrattabile. Essa prevede l’applicazione di correnti di basso voltaggio al midollo spinale attraverso l’applicazione di elettrodi stimolatori epidurali che stimolano le fibre nervose di diametro largo che chiudono il cancello, inibiscono l’attività delle fibre nervose più sottili e bloccano la trasmissione del dolore.
Prima dell’impianto chirurgico di un neurostimolatore midollare va eseguito un test che prevede l’inserimento, mediante puntura percutanea o piccola incisione chirurgica, dell’elettrocatetere midollare ed il suo collegamento ad un generatore esterno di impulsi che permetterà di valutare, durante il periodo di prova di due settimane, la risposta del paziente. I risultati migliori in termini di riduzione o di scomparsa del dolore si hanno quando, attivando il generatore di impulsi (stimolazione), il paziente avverte nelle zone interessate dal dolore un piacevole formicolio (copertura parestesica). Durante il periodo di prova si valuterà la risposta terapeutica al neurostimolatore (riduzione significativa o scomparsa del dolore), la configurazione degli elettrodi, le intensità di corrente ed i tempi di stimolazione ottimali e la riduzione o l’abolizione dei precedenti trattamenti antidolorifici.
Se il bilancio sarà positivo e il paziente e il medico saranno soddisfatti del risultato del test di prova si passerà alla fase successiva che è quella dell’impianto definitivo. L’impianto definitivo prevede l’alloggiamento del neurostimolatore (generatore di impulsi) in una tasca sottocutanea (addominale, toracica, ecc.) realizzata chirurgicamente; il generatore d’impulsi sarà connesso all’elettrocatetere midollare mediante un cavetto di collegamento che sarà tunnellizzato nel tessuto sottocutaneo; al termine dell’intervento non vi saranno comunque componenti del sistema esterni. Grazie ad un piccolo computer palmare è possibile interagire dall’esterno col generatore di impulsi ed impostare, secondo i dati ricavati durante il test, le regolazioni dell’impulso elettrico (ampiezza, frequenza), variare la configurazione degli elettrodi e regolare la modalità di stimolazione in modo continuo o ciclico.
Il paziente grazie ad un telecomando esterno potrà accendere e spegnere lo stimolatore e regolarne l’intensità fino ad un valore massimo ed uno minimo impostati dal medico. Lo stimolatore ha una vita di circa 5 anni (la durata dipende dall’utilizzo e dall’economizzazione della batteria) dopodiché bisognerà provvedere alla sua sostituzione. Esistono alcune varianti tecniche che riguardano sia l’elettrocatetere che il generatore di impulsi. Ad esempio è possibile impiantare due elettrocateteri paralleli o sfalsati nel canale vertebrale, onde ottenere una stimolazione più ampia del midollo. In questi casi sarà necessario collegare i due elettrodi a due generatori di impulsi od a uno a due canali.
Sono anche disponibili degli elettrodi piatti che vanno posizionati nel canale vertebrale non mediante ago ma chirurgicamente, il vantaggio che offrono rispetto agli elettrocateteri tradizionali è quello di un più ampio e più intimo contatto con la superficie del midollo con conseguente migliore qualità della stimolazione. I risultati della SCS sono alquanto soddisfacenti se vengono rispettate le indicazioni ed i criteri di selezione. Si tratta di una metodica efficace, semplice, reversibile ma che richiede per il suo funzionamento e la sua ottimizzazione pazienza e disponibilità sia da parte del paziente che del medico.
Esiste poi la naturale evoluzione della SCS, ideata e sviluppata proprio dal Dott. Giancarlo Barolat, la SPNS (Subcutaneous Peripheral Nervous Stimulation), nella quale vengono mantenuti i principi fisiologici esposti sopra, ma cambia la tecnica chirurgica, ancora meno invasiva e più “flessibile”. Vengono fatti decorrere al di sotto della cute i device fino a farli “comunicare” con le parti che devono essere stimolate elettricamente. La tecnica chirurgica mini invasiva viene compiuta in completa sicurezza del paziente poiché in anestesia locale in abbinamento ad una leggera sedazione.
Intervista ad un paziente con dolore cronico:
Domanda: Quale patologia provocava il suo dolore cronico?
Risposta: Dolore cronico neuropatico
D: Questo dolore come condizionava la sua vita?
R: Al 100%, ero paralizzato a letto, come morto, da anni.
D: Come ha risolto il suo problema?
R: Io ho avuto 14 interventi alla schiena, stiamo parlando di una patologia spinale, a livello delle vertebre l5-s1, 14 interventi consecutivi, gli ultimi dei quali tramite un amico del Prof. Barolat, che si chiama Giancarlo Pinato (terapista del dolore di Venezia), che ha provato con un intervento più semplice, poi mi ha detto “no guarda, qui ci vuole lui, che ti farà un impianto intratecale (inseriscono “cose” all’interno del midollo spinale), e questa è stata la grande cosa di Giancarlo, mi ha inserito 24 elettrodi, a livello cervicale, all’interno del canale midollare, e per la prima volta al mondo, io sono il primo ad essere stato impiantato al mondo con 2 peacemaker contemporaneamente. Io ho 2 peacemaker che comandano ciascuno 12 elettrodi nel collo, questo è un impianto che per capirci porta 2 metri di cavo dentro nella spina dorsale che va in giro e porta i segnali.
Pinato pioneristicamente in Italia ha fatto questi tipi di interventi di impianti di stimolazione midollare, però in Italia finora non era una metodica né seguita, né appoggiata a livello dello Stato diciamo. Loro ti sbattevano là sotto morfina, come facevano con me, ti lasciavano lì, a schiattare pieno di farmaci che peraltro non servivano assolutamente a niente.
D. Per quanti anni ha seguito terapie alternative prima degli interventi?
R: 6 o 7.
D: Quando è stato operato per la prima volta?
R: A livello di terapia del dolore o a livello di intervento chirurgico alla schiena?
D: Entrambe
R: Il mio calvario è cominciato nel 2001, mentre per la schiena a livello della terapia del dolore nel 2005-06, 14 interventi tra stabilizzazioni lombari, hanno dovuto salvare il salvabile a livello anche dal punto di vista ortopedico, con un altro medico, il bravissimo Prof. Bartolozzi di Verona, che è riuscito a stabilizzare la colonna, dopo di che, si è salvato quello che c’era da salvare a livello di nervi e si è cercato di togliere il dolore di questi nervi danneggiati, questo con Barolat e Pinato. Prima Pinato e poi Barolat definitivamente.
D: Quindi ha risolto i suoi problemi definitivamente?
R: Relativamente, io dovrei essere una pianta a letto, se lei vede una mia radiografia io ho un buco nella schiena, non dovrei camminare, io adesso sono qui in montagna che sto facendo le passeggiate con lo zaino sulle spalle, con il bambino dentro. E’ una cosa assolutamente incredibile, non posso fare altro che ringraziare i miei medici e se le vuole fare un accenno, sono stato 2 o 3 anni sotto morfina, addirittura con la pompa di morfina, e questa non faceva assolutamente nulla.
D: Nell’immaginario collettivo un intervento spaventa sempre, se dovesse consigliare l’operazione a qualcuno cosa gli direbbe?
R: Che non c’è il benché minimo tipo di problema, in particolare con il prof. Barolat, non si tratta di un intervento così devastante o invasivo, se uno sa dove mettere le mani, per carità ti aprono la colonna vertebrale, non c’è nessun tipo di problema. Lo farei senz’altro anche perché alla lunga, io ormai ho una storia di 10 anni, le posso dire che i farmaci fanno molto molto più male che non fare un intervento una volta e dopo dimenticaterli. La qualità di vita non ha paragone, assolutamente. Ho 48 anni adesso, ero un ex sportivo a livello alto, perché correvo in primo gruppo sia di maratona che di sci di fondo, e sono cintura nera di Judo, cosa che mi ha provocato l’ernia del disco che poi ha fatto seguire tutto il resto di cose, e loro mi hanno rimesso in piedi, mentre mi ero ridotto una pianta con mia moglie e mia mamma che mi davano da mangiare a letto con delle cannucce perché non potevo neanche mettermi seduto a letto.
La sai l’ultima sul dolore?
La Neurostimolazione è una tecnica antalgica e reversibile per sconfiggere il dolore cronico.
Simposio: Il 21 settembre 2011 nasce The Barolat Neuromodulation Institute Europe ad Appiano Gentile (Como) Solo per addetti ai lavori.
Fonte: B52Communication