Geni e tumore al seno: la prevenzione è sempre più personalizzata
Qual è il contributo della genetica nella strategia diagnostica dei tumori alla mammella?
Risposta di Laura De Marchis; Dirigente Medico Oncologia B, Dipartimento di Scienze Radiologiche, Oncologiche e Anatomo-patologiche, Azienda Policlinico Umberto I, Roma:
Il carcinoma della mammella è attualmente considerato una patologia multifattoriale. Sebbene la maggior parte dei casi di carcinoma mammario siano “sporadici”, insorgano cioè in donne senza una significativa storia familiare per questa patologia, esiste tuttavia una minoranza di casi, pari al 30%, definiti “familiari” in cui tale patologia possiede una frequenza superiore a quella della popolazione generale. Nell’ambito dei casi familiari, il 10% circa è considerato “ereditario” ovvero riconducibile alla presenza di mutazioni germinali, cioè trasmissibili, in geni che conferiscono un significativo rischio di sviluppo del carcinoma della mammella.
Attualmente sono stati identificati due geni principali responsabili di tale suscettibilità, il gene BRCA1 e il gene BRCA2, che renderebbero conto della metà circa dei casi di carcinoma ereditario della mammella, mentre la restante quota di casi sarebbe legata alla presenza di mutazioni in geni diversi, peraltro ancora sconosciuti per la maggior parte.
La disponibilità di test genetici che identificano mutazioni di questi due geni permette di individuare persone con elevato rischio di ammalarsi di tumori mammari e ovarici per i quali attualmente i protocolli di screening che si applicano alla popolazione generale non sono sufficienti per una diagnosi precoce.
È possibile quindi includere le pazienti ad alto rischio in protocolli di prevenzione mirati o considerare misure profilattiche chirurgiche radicali al fine di ridurre il rischio oncologico.
Fonte: Pro Format Comunicazione per il Policlinico Umberto I di Roma