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Medicina di base (Articoli - 2014-11-11 14:24:45)

Due nuove molecole rivoluzionano lo scenario della terapia contro l'Epatite C

Una sola pillola, una sola volta al giorno, multigenotipica ed efficace anche sui pazienti più difficili, ben tollerata e con la stessa durata di trattamento per tutte le persone in terapia.

Novembre 2014: A Boston, dove è in corso il 65° Meeting Annuale dell’American Association for the Study of Liver Diseases (AASLD), si delinea un nuovo orizzonte nel trattamento dell’infezione da epatite C: i dati di fase II su grazoprevir ed elbasvir, antivirali MSD ad azione diretta di seconda generazione, somministrati once a day in combinazione, hanno evidenziato altissimi tassi di risposta virologica a 12 settimane su una popolazione che comprendeva pazienti con cirrosi, co-infettati con HIV o con precedente fallimento alla terapia. La nuova combinazione è risultata efficace anche senza l’aggiunta di ribavirina e rappresenta un passo ulteriore verso regimi interferon-free e ribavirin-free. Nella fase III dello sviluppo clinico le due molecole vengono già studiate come unica pillola in mono-somministrazione.

Il “battesimo” delle due nuove molecole annuncia una nuova, grande accelerazione verso una cura radicale dell’epatite C, destinata ad allargare la popolazione di pazienti che potranno beneficiare delle terapie e a dare risposta ai bisogni clinici ancora insoddisfatti, anche con le più recenti molecole cosiddette interferon-free di imminente arrivo: regimi terapeutici lunghi, complessi e differenziati nella durata a seconda del tipo di pazienti, efficacia limitata ad alcuni genotipi, categorie di pazienti non eleggibili, resistenza alle terapie e costi non sostenibili per il Sistema sanitario.
«Le opzioni terapeutiche di cui disponiamo, incluse le più recenti, nonostante la loro indiscutibile efficacia, lasciano aperti numerosi problemi: sono attive principalmente contro i genotipi 1 e 4 di HCV, e molto meno efficaci per circa un terzo dei pazienti, quelli con genotipo 2 e 3, e non danno risposte soddisfacenti in presenza di cirrosi compensata e scompensata – afferma Antonio Craxì Professore ordinario di Gastroenterologia all’Università degli Studi di Palermo – mancano tuttora strategie terapeutiche alternative per i pazienti non responsivi ai regimi interferon-free e a tutto questo si aggiunge il problema della sostenibilità, visto che per queste nuove combinazioni terapeutiche il costo oscilla tra 60 e 90.000 euro per ogni ciclo di cura».

Molti di questi bisogni clinici potranno trovare una risposta con l’arrivo di grazoprevir, un potente inibitore della proteasi NS3A/4A ed elbasvir, inibitore del complesso replicativo NS5A. La loro combinazione, con o senza ribavirina, è stata valutata nello studio di fase II C-WORTHY che ha coinvolto 471 pazienti con infezione da HCV cronica di genotipo 1 tra i quali pazienti difficili da curare, inclusi i pazienti mai trattati in precedenza con cirrosi epatica e pazienti con precedente risposta nulla alla terapia, con e senza cirrosi. I tassi di risposta virologica sostenuta (SVR) a 12 settimane sono stati del 97% per i pazienti naïve al trattamento, non-cirrotici e co-infetti HIV, del 97% dei pazienti naïve al trattamento con cirrosi e dal 91% dei pazienti con precedente risposta nulla, con o senza cirrosi.
«Tutte le categorie di pazienti con HCV cronica trattati con grazoprevir/elbasvir evidenziano tassi di risposta terapeutica almeno del 90%: in pratica significa che in 9 pazienti su 10 il virus scompare, sia nei pazienti con lunga storia di malattia come i cirrotici, sia in quelli con storia più recente e meno severa» afferma Savino Bruno, eminente epatologo di livello internazionale di Milano. «Grazoprevir ed elbasvir sono molto efficaci, maneggevoli e ben tollerati e grazie alla loro importante barriera genetica consentono di limitare al minimo l’insorgenza di ceppi virali resistenti. La brevità di questi regimi virali accorcia i tempi della sperimentazione e, se questi risultati verranno confermati, in futuro tutti i pazienti con HCV cronica potrebbero essere curati facilmente e in modo sicuro anche dai medici di medicina generale».
Altri dati presentati a Boston indicano che la farmacocinetica di grazoprevir/elbasvir rende questa combinazione sicura e ben tollerata anche per pazienti con malattia renale allo stadio terminale o in emodialisi o con grave insufficienza renale.
Inoltre, l’associazione di grazoprevir con un'altra molecola in fase di valutazione, MK-8408, inibitore dell’NS5A, rappresenta una chance per i pazienti con problemi di resistenze dopo il fallimento di precedenti terapie. «Uno dei problemi che si pone in un numero significativo di pazienti è il fallimento alle nuove terapie antivirali che determina resistenza all’intera classe di farmaci a cui esse appartengono. Da qui emerge la necessità di disporre di farmaci che mantengano l’efficacia contro i ceppi resistenti» afferma Carlo Federico Perno, Professore di Virologia all’Università di Tor Vergata e Direttore dell’Unità di Virologia Molecolare del Policlinico Tor Vergata di Roma. «Gli studi presentati a Boston indicano che MK-8408 conserva un’eccellente efficacia antivirale anche contro ceppi resistenti ai farmaci della stessa classe (inibitori dell’NS5A virale), appartenenti alla prima generazione, garantendo quindi alte chances di efficacia anche nelle difficili condizioni di fallimento alla prima linea di trattamento».
Già dal 2015 potrebbe quindi essere disponibile, negli Stati Uniti, un regime terapeutico IFN-free e ribavirin-free, multigenotipico, semplice da utilizzare e con minori effetti collaterali e cicli terapeutici brevi: le evidenze finora disponibili saranno adesso convalidate nella fase III dello sviluppo clinico di grazoprevir/elbasvir, chiamata C-EDGE, per la quale è stato appena completato l’arruolamento.
Ma la prospettiva è ancora migliore perché la combinazione grazoprevir/elbasvir, per il momento multigenotipica, in futuro si evolverà in un regime pangenotipico con l’associazione a una terza molecola, MK-3682, i cui primi dati, presentati a Boston, evidenziano un’attività potente e pan genotipica con un buon profilo di tollerabilità.
Nel trattamento dell’infezione da epatite C, insomma, il meglio deve ancora venire. Anche grazie all’impegno costante in virologia di MSD che, dopo aver fatto la storia della terapia dell’HCV, si candida adesso a scriverne il futuro e a guidare una nuova rivoluzione, basata su regimi terapeutici potenti, pangenotipici, semplificati.


L’EPATITE C - SCHEDA

COSA È L’EPATITE C?
L’epatite C è un’infiammazione del fegato causata da un virus denominato hepacavirus (HCV) che, attraverso l’attivazione del sistema immunitario, provoca la morte delle cellule epatiche (necrosi epatica). Le cellule epatiche distrutte dal virus sono sostituite da un tessuto di cicatrizzazione, con la comparsa di noduli e di cicatrici che determinano la perdita progressiva della funzionalità del fegato. Come la B, infatti, anche l’epatite C può cronicizzare, trasformandosi in una patologia di lunga durata1. A seguito del contagio, circa il 60-70% degli individui diventa portatore cronico del virus2. Ciò significa che anche un’incidenza relativamente modesta dell’infezione contribuisce ad alimentare efficientemente il pool dei portatori cronici del virus.
Altri cofattori, come sovraccarico di ferro, steatosi epatica (accumulo intracellulare di trigliceridi), obesità e diabete possono contribuire a una progressione più rapida della fibrosi. Una volta che tale tessuto sostituisce gran parte della componente sana del fegato, l’epatite si evolve in cirrosi epatica, con grave compromissione delle sue attività.

QUALI SONO LE CARATTERISTICHE DEL VIRUS DELL’EPATITE C?
L’hepacavirus responsabile dell’epatite C è stato identificato nel 1989, attraverso tecniche di biologia molecolare che hanno isolato un singolo clone di DNA complementare, ma la sua esistenza era stata già stata scoperta negli Anni ’70, poiché determinava una forma di epatite chiamata, infatti, non-A, non-B. Successivamente sono state identificate sette varianti virali dell’HCV, con diverso genotipo, numerati da 1 a 7, e oltre 90 sub‐tipi, nominati con lettere.
Il genotipo 1, responsabile di circa il 60% delle infezioni globali e diffuso prevalentemente nel Nord America (1a) e in Europa (1b)2, ha dimostrato di essere il più difficile da trattare con successo.
Le sette varianti sono diversamente distribuite nel mondo e rispondono in modo differente alle terapie antivirali: la definizione del genotipo è, infatti, fondamentale per determinare correttamente il tipo e la durata del regime terapeutico.
Il virus può persistere anche in sistemi extracellulari extraepatici, grazie alla sua abilità di mutare l’assetto antigenico e sfuggire all'attacco del sistema immunitario dell'ospite infettato.

QUANTO È DIFFUSA L’EPATITE C IN ITALIA E NEL MONDO?
L'Italia è il Paese europeo con il maggior numero di persoe positive al virus dell'epatite C.
Circa il 3% della popolazione italiana è entrata in contatto con l'HCV e il 55% dei soggetti con HCV è infettata dal genotipo 13.
Nel nostro Paese i portatori cronici del virus sono circa 1,6 milioni, di cui 330.000 con cirrosi epatica: oltre 20.000 persone muoiono ogni anno per malattie croniche del fegato (due persone ogni ora) e, nel 65% dei casi, l’epatite C risulta causa unica o concausa dei danni epatici. A livello regionale il Sud è il più colpito: in Campania, Puglia e Calabria, per esempio, nella popolazione ultra settantenne la prevalenza dell'HCV supera il 20%4.
Nel mondo si stima che siano circa 180 milioni nel mondo le persone che soffrono di epatite C cronica5, di cui intorno ai 4 milioni in Europa2 e altrettanti negli Stati Uniti: più del 3% della popolazione globale. I decessi causati nel mondo da complicanze epatiche correlate all’HCV sono più di 350.000 ogni anno1.
Sebbene l’infezione HCV sia endemica, la sua distribuzione geografica varia considerevolmente: l’Africa e l’Asia sono le aree di maggiore prevalenza, mentre in America, Europa occidentale e settentrionale e Australia la malattia è meno presente.
Negli ultimi 20 anni l’incidenza è notevolmente diminuita nei Paesi occidentali, per una maggior sicurezza nelle trasfusioni di sangue e per il miglioramento delle condizioni sanitarie; tuttavia, in Europa l'uso di droghe per via endovenosa è diventato il principale fattore di rischio per la trasmissione di HCV.

QUALI SONO LE VIE DI TRASMISSIONE DEL VIRUS?
La condivisione di aghi o siringhe è a tutt’oggi il maggior fattore di rischio di contrarre la malattia1. Ma non è il solo. Altri fattori includono il tatuaggio e il body piercing eseguiti in ambienti non igienicamente protetti o con strumenti non sterilizzati; la trasmissione dell’infezione per via perinatale al proprio figlio; la trasfusione di sangue non sottoposto a screening; tagli/punture con aghi/strumenti infetti in contesti ospedalieri; ma anche la condivisione dei dispositivi per l’assunzione di droghe inalabili e di spazzolini dentali o spazzole da bagno contaminati, se utilizzati in presenza di minime lesioni della cute o delle mucose.
Anche se l’epatite C non è facilmente trasmissibile attraverso i rapporti sessuali, rapporti non protetti, anche con più partner, sono associati a un rischio maggiore di contrarre l’HCV1.

COME SI MANIFESTA LA PATOLOGIA?
La fase acuta dell’infezione del virus dell’epatite C decorre quasi sempre in modo asintomatico6, tanto che la patologia è definita un “silent killer”; appena contratta l'infezione, il paziente può soffrire febbre, senso di stanchezza, inappetenza, dolore di stomaco, urine scure, ittero, nausea e vomito, dolori ai muscoli e alle giunture, mancanza di concentrazione, ansia e depressione1. Generalmente questi sintomi passano e per molti anni la malattia non da segni.
La cronicizzazione dell’Epatite, che accade in più del 70% dei pazienti, si manifesta con transaminasi elevate o fluttuanti e con l’insorgenza della fibrosi.

QUALI SONO LE COMPLICANZE CHE PRODUCE?
L’epatite C è la causa principale delle cirrosi, dei tumori al fegato,
dei trapianti di fegato e
dei decessi di malati di AIDS. Infatti, soprattutto nelle persone tossicodipendenti l’infezione dell’HCV e spesso associata a quella dell’HIV: il 20% delle persone positive all’HCV è coinfetta con l’HIV. Entrambi i virus usano RNA per veicolare il loro codice genetico, anche se appartengono a due famiglie differenti e hanno strategie di replicazione e sopravvivenza diverse.
La cronicizzazione dell’epatite C può comportare la formazione di varici nell'esofago e nello stomaco, che rompendosi causano emorragie; l'ingrossamento della milza, con conseguente anemia, calo dei globuli bianchi e delle piastrine; l'ittero, per l'accumulo nel sangue del pigmento bilirubina; l'accumulo di liquido nell'addome (ascite) con eventuale infezione; la riduzione nella funzione urinaria, con concomitante aumento della creatinina e dell'azotemia. Inoltre, le sostanze tossiche che il fegato non riesce più a smaltire possono riversarsi nel sangue e arrivare al cervello, determinandone un cattivo funzionamento, che può iniziare con uno stato confusionale e arrivare fino al coma (encefalopatia epatica).

COME SI ESEGUE UNA CORRETTA DIAGNOSI DI HCV?
Non sempre le analisi del sangue di routine sono in grado d’identificare l’infezione da HCV: se si ritiene di essere esposti al rischio del virus è bene consultare il proprio medico curante.
Sono quattro i test diagnostici utilizzati:
1) test dell’Alanina amino transferasi (Alt) e dell’Aspartato transaminasi (Ast): l’aumento di questi due specifici enzimi, conosciuti anche come GPT (Transaminasi Glutammico-Piruvica) e il GOT (Transaminasi Glutammico-Ossalacetica) segnala la presenza del virus nel sangue;
2) test Elisa (Enzyme Linked Immunosorbent Assay) e Risa (Recombinant Immunoblot Assay): misurano i livelli degli anticorpi specifici prodotti dall’organismo in risposta all’attacco del virus;
3) test PCR (Polymerase Chain Reaction): individua il materiale genetico del virus in campioni biologici, una volta determinata la presenza di anticorpi nel sangue;
4) test RFLP (Restriction Fragment Lenght Polymorphism): determina i genotipi del virus, analizzando direttamente la sequenza genomica o tramite una tecnica detta dell’ibridazione inversa.
Una volta diagnosticata, può essere eseguita una biopsia sul tessuto epatico, per determinare il grado d’infiammazione del fegato, l’eventuale presenza di fibrosi e lo stadio della malattia.

COME VIENE TRATTATA L’EPATITE C?
Gli obiettivi terapeutici primari sono: inattivare il virus, bloccare la progressione della malattia, combattere i sintomi e prevenire il tumore al fegato. Il corrente Standard Of Care (SOC) si fonda sulla cosiddetta “terapia duplice”, una combinazione tra interferone (standard o pegilato) associato all’analogo nucleosidico ribavirina.
Le dosi e la durata del trattamento dipendono dal genotipo virale. Attualmente è stata resa disponibile per i pazienti con epatite C genotipo 1 una “terapia triplice”, ovvero la combinazione di SOC più un inibitore della proteasi, come boceprevir, che consente l’eradicazione del virus mediante un innovativo meccanismo d’azione.

ESISTE UN VACCINO PER L’EPATITE C?
A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C, soprattutto perché il virus è veloce e aggressivo, e quando si replica cambia in continuazione, riuscendo ad eludere il sistema immunitario dell'organismo. Ai pazienti affetti da epatite C viene però consigliata la vaccinazione contro le Epatiti di tipo A e di tipo B, per scongiurare il sovrapporsi di infezioni che accelererebbero la compromissione del fegato, fino a renderla irreversibile.


Note
1. World Hepatitis Alliance (WHA). Hepatitis B and C: Risk, Prevention and Treatment. (05.04.12).
2. World Health Organization (WHO). Hepatitis C Guide.
3. Dati EpaC Associazione Onlus.
4. Dati EpaC Associazione Onlus.
5. Ghany, M. et al. AASLD Practice Guidelines: Diagnosis, Management and Treatment of Hepatitis C: An Update. Hepatology 2009, 49, 4: 1335-1374.
6. Institute of Medicine of the National Accademies. Hepatits C and Liver Cancer: A National Strategy fo Prevention and Control of Hepatitis B and C, January 11, 2010.

INTERVISTA AL PROFESSORE ORDINARIO DI GASTROENTEROLOGIA, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO, ANTONIO CRAXÌ

Terapie dell’epatite C: molti bisogni ancora insoddisfatti sulla strada di una cura radicale del virus
La possibilità di una cura radicale per l’epatite C è in rapida evoluzione: qual è in Italia la situazione attuale dei trattamenti per l’infezione cronica da HCV rispetto alle opzioni già disponibili e a quelle di imminente arrivo?
La gestione terapeutica del paziente con epatite C si è evoluta negli anni: dai primi interferoni (IFN) utilizzati in monoterapia, allo sviluppo di interferoni in forma pegilata (PEG-IFN), usati in associazione a ribavirina (RBV) in duplice terapia, all’associazione in triplice terapia di PEG-IFN e RBV con inibitori delle proteasi di prima generazione (boceprevir e telaprevir) fino alla fase odierna delle terapie mirate con agenti antivirali ad azione diretta (DAA Direct Antiviral Agent) di seconda generazione.
Al momento in Italia è disponibile tramite il Sistema Sanitario Nazionale (SSN) solo una parte di ciò che è già stato registrato a livello europeo: interferoni, ribavirina e inibitori di proteasi di prima generazione come boceprevir e telaprevir. L’AIFA ha autorizzato la rimborsabilità di sofosbuvir e sta per deliberare per simeprevir e daclatasvir: il problema di queste terapie è che, pur assicurando un buon profilo di efficacia e tollerabilità oltre che di gestione terapeutica, sono principalmente attive contro i genotipi 1 e 4 di HCV, e dunque coprono il bisogno di circa il 65% dei pazienti italiani, lasciando scoperta una persona su tre. Alla registrazione dei farmaci si sovrappone inoltre il problema dei costi, che per queste nuove combinazioni terapeutiche oscilla tra 60 e 90.000 euro per ogni ciclo di cura.
In un prossimo futuro si affacceranno nuove possibilità, fino a rendere disponibile entro il 2016 un’ampia gamma di offerta che comprenderà nuove terapie di combinazione a due farmaci (sofosbuvir/ledipasvir, già registrato dall’FDA qualche settimana fa e in commercio negli USA, e grazoprevir/elbasvir), nonché terapie a tre farmaci (paritaprevir/ombitasvir/dasabuvir; grazoprevir/elbasvir/MK3682; daclatasvir/asunaprevir/beclabuvir). La ricerca clinica che sta sviluppando questi regimi mira a curare anche pazienti con altri genotipi di HCV (2 e 3) e ad ampliare ulteriormente lo spettro di uso dei farmaci, con una tollerabilità ancora migliore e periodi di cura anche più brevi. In ultimo, se i costi dei farmaci si abbasseranno a livelli meno intollerabili per il sistema si potrà pensare di trattare anche gli asintomatici che ospitano l’infezione e la diffondono.

L’ampliamento delle terapie disponibili, supportate da dati di grande importanza in termini di risposta terapeutica e di abbattimento della carica virale, alimenta grandi aspettative ma la ricerca non si ferma perché anche con le nuove opzioni non mancano certamente problemi: quali sono i principali bisogni terapeutici non ancora soddisfatti? Tutti i pazienti sono eleggibili alle nuove terapie? Qual è il profilo di sostenibilità delle nuove terapie?
Le attuali e nuove opzioni terapeutiche devono fare i conti con alcuni importanti bisogni non ancora soddisfatti: ottimizzare l’efficacia terapeutica nei pazienti con genotipo 2 e 3 nei quali le nuove terapie non sono così efficaci come nei genotipi 1 e 4; trovare trattamenti migliori per i pazienti con cirrosi compensata e scompensata; mettere a punto strategie terapeutiche alternative per i pazienti non responder ai regimi interferon-free; e, infine, ridurre i costi dei trattamenti. Tutti i pazienti sono eleggibili alle nuove terapie però mancano sufficienti dati per raccomandare queste cure ai pazienti con cirrosi scompensata. Inoltre, come accennavo, il profilo di sostenibilità non è buono, anzi è inaccettabile in ragione dei costi di queste terapie. Diversi studi dimostrano che la spesa sostenuta è in ogni caso inferiore a quella che sarebbe in caso di malattia scompensata. Il vero problema con cui noi clinici e il Sistema Sanitario ci confrontiamo è che la spesa è immediata mentre il risparmio in termini di riduzione dei costi assistenziali, delle complicanze e della mortalità, lo si apprezza nel lungo periodo. Oggi sappiamo che per curare l’epatite C cronica è necessario spendere almeno un miliardo di euro per anno. Gli strumenti ci sono, non abbiamo l’accesso.

La qualità di vita dei pazienti HCV in terapia rappresenta da sempre una sfida ardua per i clinici oltre che ovviamente per gli stessi pazienti: quale impatto potrà avere da questo punto di vista un regime terapeutico che sia non solo “senza interferone” ma addirittura senza ribavirina? In che misura i dati presentati nel corso del congresso AASLD di Boston relativi alla combinazione grazoprevir/elbasvir potrebbero aprire la strada a un regime breve che sia non solo “interferon-free” ma anche ”ribavirin-free”?
Il profilo di tollerabilità migliora decisamente in una combinazione non solo senza interferone ma anche senza ribavirina che dà alcuni effetti collaterali come anemia, prurito e tosse. Questo avviene con il regime terapeutico grazoprevir/elbasvir che sono stati sperimentati anche senza associazione a ribavirina. Grazoprevir è un inibitore della proteasi NS3A/4A dotato di una potente attività antivirale, selettiva verso le varianti del virus HCV resistenti ad altri inibitori della proteasi, il secondo è un inibitore del complesso replicativo NS5A. Entrambi rappresentano un promettente regime terapeutico IFN-free, multigenotipico, semplice da utilizzare e con minori effetti collaterali. Il futuro non solo sarà senza interferone e senza ribavirina ma caratterizzato da regimi terapeutici di grande semplicità, con pochi controlli e, se non c’è cirrosi, cicli brevi di 6-8 settimane che molti studi stanno già valutando, oltre al coinvolgimento del medico di medicina generale, che consentirebbe un ampio utilizzo di queste terapie sul territorio.

Oltre a una terapia senza interferone e senza ribavirina, un altro sogno dei clinici è quello di poter avere un regime terapeutico pangenotipico, ovvero efficace per tutti i genotipi HCV; la combinazione grazoprevir/elbasvir, per il momento multigenotipica, in futuro si evolverà in un regime pangenotipico con l’associazione a una terza molecola, MK-3682, i cui dati sono stati presentati a Boston: quanto è vicina questa prospettiva e che ricadute potrà avere?
Crediamo si tratti di una previsione molto realistica che potrebbe concretizzarsi in un paio d’anni. Ovviamente le ricadute sarebbero enormi sia per i clinici sia per i pazienti: protocolli di cura semplici, schema terapeutico semplice e facile da gestire, e dopo 4 settimane un controllo per verificare la SVR che dovrebbe attestarsi al 90-95%.

AASLD 2014: gli studi MSD

C-WORTHY– Studio di fase II su grazoprevir/elbasvir
Studio clinico randomizzato di fase II per valutare l'efficacia e la sicurezza della combinazione gazoprevir/elbasvir ± ribavirina (RBV) in soggetti con infezione da virus dell'epatite C cronica.
C-WORTHY è uno studio clinico randomizzato, dose-risposta, a gruppi paralleli, in doppio cieco che confronta diverse popolazioni di pazienti con infezione cronica da HCV esposte a diverse durate di trattamento con grazoprevir/elbasvir, con o senza ribavirina. Un totale di 471 pazienti con infezione da HCV cronica di genotipo 1 con livelli di HCV RNA di ≥10,000 IU/mL sono stati arruolati e randomizzati in 16 bracci.
I risultati delle parti A e B dello studio C-Worthy riguardano sotto-popolazioni difficili da curare, inclusi i pazienti mai trattati in precedenza con cirrosi epatica (bracci 12 e 18 settimane, con e senza ribavirina) e pazienti prior null responder con e senza cirrosi (bracci di 12 e 18 settimane, con e senza RBV).
236 – Efficacia, sicurezza e durata alla risposta al trattamento con grazoprevir ed elbasvir, con o senza ribavirina, in pazienti HCV mono-infetti e co-infetti HIV/HCV, naïve al trattamento e non cirrotici, con infezione da virus dell'epatite C di genotipo 1.
Popolazione: 159 pazienti mono-infetti e 59 pazienti co-infetti.
• Mono-infetti: trattamento di 8 o 12 settimane con grazoprevir (100 mg una volta al giorno) ed elbasvir (20 o 50 mg una volta al giorno) con o senza ribavirina.
• Co-infetti: 12 settimane con grazoprevir (100 mg una volta al giorno) ed elbasvir (20 o 50 mg una volta al giorno) con o senza ribavirina.
Tutti i pazienti nello studio erano stabilmente in trattamento antiretrovirale (raltegravir+tenofovir o abacavir con lamivuadina o emtricitabina).
Principali risultati
I tassi di risposta virologica sostenuta (SVR) a 12 settimane sono stati del 97% per i pazienti trattati con il regime terapeutico che comprendeva anche ribavirina e dell'87% tra i pazienti non trattati con ribavirina.
196 - Efficacia, sicurezza e durata della risposta al trattamento con grazoprevir ed elbasvir, con o senza ribavirina, in pazienti con infezione da HCV di genotipo 1 con cirrosi o precedente risposta nulla.
Popolazione: 253 pazienti, con precedente risposta nulla a peginterferone+ribavirina, con o senza cirrosi, o naïve al trattamento con cirrosi, randomizzati a ricevere grazoprevir (100 mg una volta al giorno) ed elbasvir (50 mg una volta al giorno) con o senza ribavirina per 12 0 18 settimane.
Principali risultati
Il trattamento con grazoprevir ed elbasvir con o senza ribavirina ha dimostrato un alto tasso di efficacia in pazienti naïve al trattamento con cirrosi e in quelli con precedente risposta nulla. La risposta virologica sostenuta a 12 settimane è stata raggiunta dal 97% dei pazienti naïve al trattamento con cirrosi e dal 91% dei pazienti con precedente risposta nulla. Non è stato necessario somministrare ribavirina, né prolungare la durata del trattamento da 12 a 18 settimane per realizzare alti tassi di SVR a 12 settimane in un'elevata percentuale di pazienti.

C-EDGE – Studio di fase III su grazoprevir/elbasvir (non presentato a Boston)
I risultati dello studio C-WORTHY hanno convalidato il passaggio di grazoprevir/elbasvir alla fase III del programma di sviluppo clinico, chiamata C-EDGE. Il programma di fase III C-EDGE valuta attualmente grazoprevir/elbasvir con e senza ribavirina in diversi genotipi e in una vasta gamma di popolazioni di pazienti con infezione cronica da HCV, inclusi pazienti naïve al trattamento e pazienti che in precedenza hanno fallito la terapia peginterferone+ribavirina, pazienti con e senza cirrosi, pazienti con malattia renale cronica (compresi quelli in emodialisi), pazienti co-infetti HIV/HCV, i pazienti in terapia sostitutiva degli oppiacei e pazienti affetti da malattie del sangue ereditarie.

1455 - HRQOL
La qualità di vita correlata alla salute (HRQOL) dei pazienti con epatite C cronica, genotipo 1, trattati con grazoprevir/elbasvir, non è influenzata negativamente dalla terapia, a differenza di quanto avviene con i regimi terapeutici che comprendono interferone pegilato (IFN) e ribavirina (RBV).

1940 - Farmacocinetica
Farmacocinetica dell’inibitore della proteasi di HCV, grazoprevir, somministrato insieme all’inibitore NS5A elbasvir, in volontari con malattia renale allo stadio terminale o in emodialisi o con grave insufficienza renale non sottoposti a emodialisi.
Grazoprevir ed elbasvir sono risultati generalmente sicuri e ben tollerati in pazienti con danno renale. L'emodialisi non altera in modo significativo la farmacocinetica di grazoprevir ed elbasvir in pazienti con malattia renale allo stadio terminale. La quantità dei due principi attivi rimossi attraverso la dialisi è trascurabile.

1979 MK-8408
Potente e selettivo inibitore dell'NS5A caratterizzato da alta barriera genetica alla resistenza e attività contro i genotipi di HCV 1-6.
MK-8408 è un inibitore NS5A potente e pangenotipico, con attività contro le varianti resistenti selezionate con i precedenti inibitori della stessa classe. La molecola non ha dato evidenza di cross-resistenze quando sperimentata su varianti di altre classi di farmaci antivirali ad azione diretta e rappresenta quindi un'importante alternativa per i pazienti che hanno fallito le terapie precedenti con queste molecole.

1988
La combinazione di grazoprevir, un inibitore di NS3, e MK-8408, un inibitore NS5A, presenta un’alta barriera genetica alla resistenza in genotipi di HCV.
Grazoprevir e MK-8408 sono potenti antivirali ad azione diretta. Le molecole non presentano resistenza incrociata e non sono antagoniste nelle loro interazioni. Somministrate in combinazione, impediscono in modo efficace l'emergere di resistenze, attivando un'alta barriera genetica nei genotipi di HCV difficili da trattare.

1974/IDENIX
Studio di fase I/IIa per valutare IDX21437 in pazienti con infezione da HCV.
IDX21437, somministrato per 7 giorni al dosaggio di 300 mg, ha mostrato un'attività potente e pan-genotipica in soggetti con infezione da HCV, con un buon profilo di tollerabilità e senza segnalazioni di reazioni avverse.

Studio C – SWIFT Poster Nov 10, 2014 8:00 AM to 5:30 PM - Final ID: LB-33
Combinazione di grazoprevir + elbasvir + sofosbuvir in pazienti naïve al trattamento con epatite C di genotipo 1, con o senza cirrosi, per periodi di 4, 6 o 8 settimane.
Lo studio, ancora in fase di svolgimento, valuta la sicurezza e l'efficacia di tre potenti molecole ad azione antivirale diretta (DAA) - grazoprevir ed elbasvir in combinazione a dose fissa insieme a sofosbuvir - in monosomministrazione quotidiana, per periodi di 4, 6 o 8 settimane. Queste terapie di più breve durata, con nuove combinazioni di DAAs, possono offrire vantaggi quali una maggiore compliance e maggiore aderenza da parte dei pazienti. Lo studio permetterà di comprendere come minimizzare l'esposizione alla terapia aumentando i tassi di risposta virologica sostenuta.

Fonte: Pro Format Comunicazione – Ufficio stampa