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Oncologia (Comunicati stampa - 2011-06-13 14:58:32)

Nuovo studio sul bersaglio molecolare nei tumori cerebrali dei ricercatori dell’Università di Pavia

Hanno dimostrano che il silenziamento del gene del prione induce la morte di cellule tumorali astrocitarie mediante un processo chiamato autofagia.


“Silencing of cellular prion protein (PrPC) expression by DNA-antisense oligonucleotides induces autophagy-dependent cell death in glioma cells”, è il titolo dell’articolo che verrà pubblicato sul numero di agosto 2011, della prestigiosa rivista scientifica “Autophagy”, nel quale i ricercatori dell’Università di Pavia dimostrano che il silenziamento del gene del prione induce la morte di cellule tumorali astrocitarie mediante un processo chiamato autofagia. L’articolo è il risultato di un lavoro sperimentale durato diversi anni e dimostra che la proteina prionica svolge un ruolo nella regolazione della sopravvivenza e della morte di cellule tumorali cerebrali di tipo gliale, aprendo così le porte all’ipotesi che la suddetta proteina cellulare possa in futuro essere utilizzata come possibile bersaglio per lo sviluppo di composti ad azione antitumorale.

“In questo lavoro - dice Sergio Comincini, ricercatore responsabile del laboratorio di Oncogenomica Funzionale presso il Dipartimento di Genetica e Microbiologia dell’Università di Pavia, e coordinatore del progetto di ricerca - al fine di valutare un possibile coinvolgimento del prione nella caratteristica resistenza alla morte cellulare da parte delle cellule tumorali gliali, l’espressione del gene che codifica per la proteina prionica è stata inibita mediante l’utilizzo di specifiche piccole molecole di DNA modificato, chiamate oligonucleotidi antisenso, in diverse linee cellulari di glioma. Abbiamo dimostrato che in assenza di proteina prionica cellulare, le cellule tumorali gliali vanno incontro ad un processo di morte cellulare programmata chiamato autofagia.”

La proteina prionica è espressa in tutti i vertebrati in quasi tutti i tessuti, specialmente nel cervello. Sebbene sia noto che un’isoforma anomala della proteina sia il fattore eziologico di un gruppo di malattie neurodegenerative trasmissibili fatali - tra cui la BSE o “malattia della mucca pazza” – il ruolo svolto dalla normale forma cellulare della proteina non è stato ancora definito. Studi recenti hanno tuttavia mostrato che la proteina prionica è in grado di proteggere alcuni tipi di cellule tumorali - gastriche e della mammella - da trattamenti chemioterapici finalizzati ad indurne la morte.

I tumori gliali o gliomi, i principali tumori del sistema nervoso centrale, sono particolarmente resistenti alla morte cellulare, hanno alta capacità invasiva, e sono costituiti da cellule con un elevato tasso di proliferazione. Queste caratteristiche li rendono difficili da trattare con le attuali terapie, basate principalmente sui trattamenti chirurgici, radio- e chemioterapici. Numerosi laboratori di ricerca sono quindi attivi in campo oncologico per lo sviluppo di nuovi protocolli sperimentali terapeutici.


L’autofagia è un processo normalmente coinvolto nel turnover di componenti citoplasmatici cellulari. Essa prevede il sequestro di questi ultimi in vescicole a doppia membrana all’interno delle quali, in seguito alla fusione con i lisosomi, il materiale cellulare viene degradato ad opera delle proteasi lisosomiali. Le macromolecole prodotte in seguito alla degradazione dei componenti cellulari sono quindi rilasciate nel citoplasma dove, in condizioni di carenza di sostanze nutritive, possono essere utilizzate in processi metabolici. Tuttavia, se in assenza di nutrienti il processo autofagico rappresenta una meccanismo di sopravvivenza, quando esasperato esso può portare alla morte cellulare. A questo proposito, l’induzione di morte autofagica rappresenta una strategia emergente per indurre morte cellulare e sensibilizzare alla terapia cellule tumorali resistenti al tipo di morte cellulare generalmente indotta dagli agenti chemioterapici, l’apoptosi, come avviene nel caso dei tumori cerebrali.

“Il protocollo sperimentale di tipo molecolare che abbiamo sviluppato – dicono Giulia Barbieri e Silvia Palumbo, co-autrici dell’articolo e dottorande nel laboratorio di Oncogenomica Funzionale – non è solo in grado di ridurre la vitalità cellulare in vitro ma, come dimostrato in un modello animale di topo, determina anche una significativa riduzione della crescita tumorale in vivo, e meriterebbe quindi di essere ulteriormente approfondito da un punto di vista tossicologico, e successivamente farmacologico, per valutare una sua possibile futura applicazione in contesti clinici.”
Questo lavoro – conclude Comincini – rappresenta un primo passo verso l’identificazione di un possibile nuovo bersaglio molecolare per il trattamento dei tumori cerebrali. La strada che porta alla sperimentazione clinica, al suo auspicabile successo nella lotta a queste neoplasie, è tuttavia ancora lunga e complessa, quanto complessi e non ancora completamente chiariti sono i meccanismi che determinano l’insorgenza tumorale.
Il progetto ha visto la partecipazione in prima linea di strutture pavesi (Dipartimenti di Genetica e Microbiologia, di Biologia Animale e del CNR), dell’ateneo di Siena e di un importante centro di eccellenza Nencki Institute di Varsavia, presso l’Accademia Nazionale Polacca.
La ricerca è stata finanziata dal Ministero dell’Istruzione, dell’Università e della Ricerca (MIUR).

I tumori gliali sono i principali tumori del sistema nervoso centrale (SNC). Tra le cellule del SNC, le cellule della glia, a differenza dei neuroni, mantengono l’attività proliferativa durante tutta la vita e per questo potrebbero essere maggiormente soggette all’insorgenza di tumori. Le cellule della glia sono rappresentate da astrociti, oligodendrociti, cellule gliali eterogenee (come gli oligoastrociti) e cellule ependimali; i tumori gliali costituiti da queste cellule sono detti rispettivamente astrocitomi, oligodendrogliomi, oligoastrocitomi ed ependimomi.

L’astrocitoma è il tipo più frequente di tumore gliale e, in base ai criteri proposti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (World Health Organization, WHO), esso può essere classificato come astrocitoma pilocitico, astrocitoma di basso grado, astrocitoma anaplastico e glioblastoma. Quest’ultimo è la neoplasia astrocitaria più frequente, oltre che notevolmente maligna. Insorge generalmente nella quinta e sesta decade con un'incidenza annua intorno a 7-8/100000 individui. I glioblastomi si suddividono inoltre in glioblastomi primari e secondari. La maggior parte dei casi (>90%) è caratterizzata da glioblastomi primari che si sviluppano rapidamente de novo. Il glioblastoma secondario, invece, deriva da una lenta progressione dell’astrocitoma di basso o dell’astrocitoma anaplastico.

Fonte: Ufficio Stampa Università degli Studi di Pavia