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Medicina di base (Articoli - 2011-05-06 11:54:17)

La talassemia ... che cos'è, i sintomi, le cure

Ogni anno nel mondo nascono circa 300.000 bambini talassemici. Le persone affette dalla patologia sono 3 milioni nel mondo e oltre 7.000 in Italia.
Se, fino agli anni ’90, le aspettative di vita di un paziente talassemico non superavano i 20 anni, oggi, con lo sviluppo della diagnosi precoce, della possibilità di iniziare tempestivamente la terapia trasfusionale e degli avanzamenti terapeutici, la sopravvivenza è proiettata oltre i 40-50 anni.
Il livello di efficacia raggiunto dalle terapie consente finalmente a un numero sempre più elevato di persone con talassemia di non rinunciare al desiderio di avere figli, dal momento che, grazie alle cure e agli interventi sempre più specializzati che hanno notevolmente migliorato la qualità della vita dei pazienti e dei loro familiari, si è aperta per i pazienti la possibilità di diventare adulti, lavorare, sposarsi e avere dei figli. E proprio in questo periodo, dopo anni, si registrano di nuovo nascite di bambini talassemici, molto spesso per una scelta precisa dei genitori.
Altro fattore che sta modificando la mappa epidemiologica della talassemia è l’emigrazione: negli ultimi anni, i flussi migratori provenienti da alcune regioni del Medio Oriente, del Sud-Est Asiatico, dell’India, del bacino mediterraneo, stanno determinando la cosiddetta “talassemia di ritorno”, con un incremento del 40% delle richieste di cura nella popolazione pediatrica rispetto ai primi anni del 2000. Oggi i migranti rappresentano il 4,6% dei pazienti talassemici.

DIFFUSIONE
Le talassemie sono prevalentemente diffuse tra le popolazioni che occupano la fascia tropicale e subtropicale, estesa dal bacino del Mediterraneo (Africa settentrionale, Spagna meridionale, Grecia, Italia e la maggior parte delle isole come Sicilia, Sardegna, Corsica, Malta, Cipro, Creta) al Sud-Est Asiatico.
Le talassemie sono un gruppo di malattie del sangue genetiche ed ereditarie, causate dall’alterazione della sintesi dei componenti dell’emoglobina, che determina un abbassamento del suo contenuto nel sangue e una riduzione del volume dei globuli rossi.
L’emoglobina è la proteina incaricata del trasporto dell’ossigeno nei tessuti ed è costituita da quattro catene di aminoacidi (catene globiniche) contraddistinte da lettere greche: alfa, beta, delta, gamma. Le mutazioni all’interno di queste catene danno origine alle diverse sindromi talassemiche, delle quali le più frequenti sono le alfa-talassemie e le beta-talassemie.
Le alfa-talassemie, ad eccezione di una forma grave che interessa tutti e quattro i geni – due paterni e due materni – che regolano la produzione di alfa globina, si sviluppano quando l’alterazione è a carico di due geni e si manifestano in forma lieve, causando una leggera anemia ipocromica, cioè un livello di emoglobina basso, e la riduzione delle dimensioni dei globuli rossi (microcitemia).
Le beta-talassemie, determinate da un difetto della catena beta dell’emoglobina, si presentano in due forme: la beta-talassemia minor, che dà origine a una forma lieve di anemia, spesso non riconosciuta dagli stessi portatori, e la beta-talassemia major, detta anche Morbo di Cooley, caratterizzata dalla mutazione del gene ereditato dalla madre e da quello ereditato dal padre, riconoscibili verso il quarto-sesto mese di vita.


Le persone affette da talassemia hanno entrambi i genitori portatori sani del difetto genetico che dà origine all’anomalia dell’emoglobina. La possibilità che nascano figli sani dall’unione di due portatori sani è del 25%: stessa percentuale per la probabilità di avere figli malati, mentre sale al 50% la possibilità che nascano figli portatori sani. Uno specifico esame del sangue presso laboratori qualificati consente di sapere se si è portatori sani.

I SINTOMI
I sintomi della talassemia compaiono già nei primi mesi di vita, ma si manifestano lentamente nei primi due anni. I primi segni di questa patologia sono debolezza e affaticamento. I sintomi cominciano a manifestarsi attraverso un senso di malessere, rialzi termici improvvisi associati spesso a episodi influenzali e disturbi della dentizione.
Il vero campanello d’allarme, che richiede un parere immediato del medico, è il pallore causato dalla progressiva anemia, associato ad un colorito giallognolo, simile all’ittero (a causa dell’accumulo nel sangue della bilirubina, pigmento di colore giallo-rossastro, contenuto nella bile). Sarà infatti lo specialista a riconoscere immediatamente la malattia anche attraverso altri segni clinici come l’aumento di volume della milza e del fegato causato dall’eccessivo lavoro di distruzione dei globuli rossi alterati, l’addome gonfio e sporgente per la presenza dei due organi tumefatti (milza e fegato), alterazioni della struttura scheletrica che si presentano sotto forma di membra gracili, zigomi prominenti e occhi piccoli e sottili, causati dall’ispessimento delle ossa facciali. Tuttavia, anche se non ci sono segni fisici così evidenti, la presenza di anemia e anamnesi familiare positiva per la talassemia (specie nei gruppi ad alto rischio come italiani, greci e asiatici) può essere sufficiente per iniziare un iter diagnostico.

LA DIAGNOSI
La presenza di talassemia nel paziente viene confermata dal quadro ematologico, caratterizzato da spiccata anemia e drastica riduzione della quantità di emoglobina circolante.
Il primo intervento diagnostico consiste in un esame al microscopio di una goccia di sangue strisciata su un vetrino e un’elettroforesi dell’emoglobina che permette di stabilire qual è il carattere anomalo e stabilire di quale anemia emolitica soffre il paziente. Da questa analisi si nota subito la strana forma dei globuli rossi, quasi trasparenti a causa dello scarso contenuto di emoglobina e di dimensioni più piccole rispetto alla norma (microcitici).

DIAGNOSI PRENATALE
Quando entrambi i futuri genitori sono portatori sani, la coppia è considerata ad alto rischio e a essa è riservata la diagnosi prenatale, con la quale si può conoscere lo stato di salute del feto, una volta definita con precisione di quale variante di beta-talassemia sono portatori. Tale diagnosi, molto accurata e con un rischio di errore <1%, viene eseguita attraverso una duplice tecnica di prelievo: la biopsia del tessuto dei villi coriali o villocentesi (CVS), eseguita a partire dalla decima settimana, e la cordocentesi, con cui si preleva sangue fetale.
È importante sottolineare che la diagnosi prenatale è solo uno strumento di prevenzione e pianificazione familiare per la coppia a rischio e non può e non deve essere considerata una soluzione definitiva della patologia.
Complicanze
I pazienti affetti da talassemia devono fare i conti con una serie di complicanze dovute alla patologia stessa, alla terapia trasfusionale e al conseguente accumulo di ferro nel sangue e negli organi. Nei pazienti con anemia grave, la compromissione delle ghiandole endocrine può causare ipotiroidismo, problemi della crescita staturale (dai quali è affetto circa il 30-50% dei pazienti con talassemie major), ipogonadismo, mancato sviluppo puberale, diabete, ipocorticosurrenalismo e ipoparatiroidismo. Da tale compromissione endocrina e dall’iperattività del midollo derivano inoltre disturbi del metabolismo del calcio e dunque fragilità ossea, con un’alta incidenza di osteoporosi della colonna vertebrale e dell’anca in entrambi i sessi e di osteopenia, che comporta la riduzione della massa e della solidità ossea e un rischio più alto di fratture.

I pazienti in cura sono spesso soggetti a ipersplenismo, cioè ingrossamento e malfunzionamento della milza, costretta a filtrare nel sangue i microrganismi nocivi ed eliminare i globuli rossi alla fine del loro ciclo vitale.
I pazienti che sono sottoposti a un regime trasfusionale intenso vanno inoltre incontro a complicanze cardiache, giacché le trasfusioni comportano un graduale deposito di ferro nel muscolo cardiaco, con l’eventualità di disfunzioni anche gravi.

Nei casi di beta-talassemia minor e major, l'eritropoiesi inefficace e le trasfusioni determinano un importante sovraccarico di ferro, che richiede l'utilizzo di terapie per rimuoverne l’eccesso (ferrochelazione). Poiché la cardiomiopatia resta oggi la causa principale di morte nella talassemia, è importante il controllo costante da parte di un cardiologo e l’esecuzione di un check-up specifico annuale per monitorare i livelli di ferro nel muscolo cardiaco. A tal fine, è di recente introduzione nella pratica clinica l’utilizzo della risonanza magnetica cardiaca per immagini (MRI).

Tra le complicanze vanno annoverate anche le infezioni che occorrono soprattutto in seguito a trasfusioni di sangue, a causa del mal funzionamento del sistema immunitario indotto dall’anemia, dall’ipersplenismo, dal sovraccarico di ferro e dalla conseguente terapia chelante. Le infezioni più comuni sono epatite B, epatite C, citomegalovirus, parvovirus B19, che comporta aplasia (insufficiente sviluppo cellulare), miocardite (infiammazione del miocardio) e Malattia di Chagas. Altra patologia infettiva abbastanza frequente è l’infezione da Yersinia Enterocolitica.

TERAPIE
Grazie allo sviluppo della diagnosi precoce e dunque alle possibilità di iniziare tempestivamente la terapia trasfusionale, all’applicazione della terapia chelante e al miglioramento delle tecniche di trapianto di midollo osseo, oggi il paziente talassemico è in grado di avere una buona qualità di vita e oltrepassare i 40-50 anni, a fronte di un’aspettativa di vita che fino a due decenni fa non superava i 20 anni. I più recenti sviluppi della terapia genica, inoltre, stanno aprendo reali possibilità di una cura risolutiva della patologia.

LA TERAPIA TRASFUSIONALE
Per i pazienti con beta-talassemia major il trattamento consiste prima di tutto nella terapia trasfusionale convenzionale, che permette di tenere sotto controllo i sintomi della malattia e di correggere l’anemia grave, consentendo un notevole prolungamento della sopravvivenza e una qualità di vita più che accettabile. I talassemici vengono sottoposti a trasfusioni di sangue mediamente ogni 15-20 giorni: questa terapia, chiamata convenzionale, ha portato ad un notevole prolungamento della sopravvivenza dei pazienti con talassemia, ma non ha annullato il rischio di morte. A lungo andare, infatti, la trasfusione comporta un accumulo di ferro negli organi, soprattutto fegato, milza, miocardio e ghiandole endocrine, associato a numerose conseguenze cliniche severe: se i livelli di ferro non sono efficacemente controllati, i pazienti vanno incontro a elevata morbilità e mortalità. I pazienti regolarmente sottoposti a trasfusione sono a rischio di sovraccarico di ferro già dopo 20 trasfusioni. Le trasfusioni possono causare complicanze ed effetti indesiderati, perciò questa terapia viene accompagnata da misure di supporto: profilassi con antibiotici per gestire il rischio da Streptococcus pneumoniae, idratazione per aiutare a mantenere il sangue fluido all’interno dei capillari evitando fenomeni di addensamento del sangue, integrazioni vitaminiche e ferrochelazione.

LE TERAPIE FERROCHELANTI
Per evitare di compromettere gravemente la vita dei malati di talassemia sottoposti a trasfusione, il sovraccarico di ferro deve essere trattato in modo efficace. Al fine di contrastare l’accumulo di ferro nel sangue é necessario dunque che il paziente talassemico sia sottoposto ad una terapia ferrochelante, che permette di catturare il ferro nel sangue e fornire una protezione costante nelle 24 ore dagli effetti tossici del ferro.
Buona parte del ferro in eccesso si deposita nel fegato e la misurazione dei livelli di ferro epatico (LIC) consente di determinare con accuratezza i valori della concentrazione in tutto l’organismo. Le tecnologie più evolute sono la T2 Star, una risonanza magnetica per immagini (MRI) orientata per la quantificazione del ferro cardiaco ed epatico e lo SQUID (Superconducting Quantum Interference Device, che sta per Dispositivo Superconduttore a Interferenza Quantistica), in grado di misurare variazioni molto piccole di flusso magnetico, come quelle provocate dal ferro immagazzinato sotto forma di ferritina nell’organismo.

La cosiddetta “chelazione del ferro” ha registrato una notevole evoluzione dalla fine degli anni ’60, quando è stato introdotto in Italia il primo farmaco specifico per tale funzione, la deferoxamina, consentendo un cambiamento della storia naturale della malattia e permettendo ai pazienti trasfusi di aumentare significativamente l’aspettativa di vita. Studi clinici hanno dimostrato la sua efficacia nel produrre un bilancio negativo di ferro e dunque una ridotta tossicità per il fegato e il cuore: in alcuni di questi studi il farmaco ha infatti dimostrato di risolvere le aritmie cardiache e di migliorare la sopravvivenza a lungo termine.
Pur essendosi dimostrata efficace, la cura comporta notevoli disagi nella somministrazione, che deve avvenire per via sottocutanea, con una pompa d’infusione, e durare 10-12 ore consecutive per un minimo di 6 notti la settimana, per via della breve emivita del farmaco (20-30 minuti), cioè il tempo necessario perché la concentrazione del farmaco nell’organismo si dimezzi.

Quando la terapia con deferoxamina risulta controindicata o non adeguata, si utilizza il deferiprone, che presenta un’emovita più lunga (3-4 ore) ed è somministrato in compresse, da prendere 3 volte al giorno. Pur essendo stato registrato nel 2002, il farmaco non è stato tuttavia ancora autorizzato dall'FDA: alcuni studi recenti indicano che, per via della dimensione ridotta della molecola e dell’assenza di cariche elettriche, il deferiprone può penetrare con più facilità nelle cellule del cuore, alzando il livello dei depositi cardiaci di ferro.

Una terza opzione terapeutica, per i casi con grave sovraccarico di ferro, è costituita dalla cosiddetta terapia combinata, che unisce deferiprone e deferoxamina: l’uso congiunto consente di arrivare a livelli di escrezione del ferro che non sarebbe possibile raggiungere usando i due farmaci separatamente. Attraverso il cosiddetto “effetto navetta/shuttle”, la prima molecola, dalle dimensioni più piccole, entra negli organi, chela il ferro e lo porta nel plasma, dove si lega a sua volta al chelante più forte, la deferoxamina, consentendo, teoricamente, livelli di escrezione del ferro non raggiungibili dai due farmaci, se assunti separatamente.

In anni recenti è stato sviluppato un nuovo farmaco, deferasirox, da assumere una volta al giorno per via orale con un buon assorbimento a livello intestinale. Il deferasirox ha un’emivita lunga (12-16 ore) garantendo una copertura chelante continua e costante nelle 24 ore.
Tale terapia si è rivelata molto efficace e tollerata, priva di aggravio fisico e psicologico per il paziente e quindi soprattutto vantaggiosa dal punto di vista della qualità della vita.
Dati più recenti hanno dimostrato che questo farmaco è in grado di rimuovere il ferro sia a livello del fegato che del cuore. Deferasirox presenta anche un ulteriore vantaggio: la possibilità di personalizzare la terapia per ogni singolo paziente sulla base dell’obiettivo terapeutico che si deve raggiungere e dell’apporto di ferro trasfusionale (riduzione o mantenimento dei livelli ematici di ferro). Inoltre rappresenta una buona opzione quando la terapia chelante deve essere iniziata precocemente nell’infanzia e deve essere proseguita durante l’adolescenza e l’età adulta.
Il farmaco è stato approvato alla fine del 2005 dall’FDA e nel 2006 dall’EMA. In Italia è disponibile dal 2007.

IL TRAPIANTO DI MIDOLLO OSSEO
Il trapianto di midollo osseo, attraverso il quale cellule staminali sane dei globuli rossi prelevate da un donatore sono trapiantate nell’organismo del malato e prendono il posto di quelle alterate, può offrire la possibilità di curare e guarire definitivamente la talassemia. Questo intervento non può, tuttavia, essere eseguito da tutti i talassemici: è infatti necessario un donatore perfettamente compatibile e la possibilità di successo si riduce con l’avanzare dell’età del paziente. Il trapianto di midollo, inoltre, può causare importanti reazioni dell’organismo contro le cellule trapiantate (rigetto), che possono compromettere l’efficacia del trattamento. Quest’opzione terapeutica può essere inoltre associata ad altre complicanze acute, quali la reazione immunitaria contro l’ospite, le infezioni, le tossicità d’organo causate dai farmaci immunosoppressori, con un tasso di mortalità del 5%, e comporta infine la possibilità di esito negativo, con la ricomparsa della talassemia.

LA TERAPIA GENICA: OBIETTIVO “GUARIGIONE”
L’ingegneria genetica delle cellule staminali rappresenta oggi la nuova speranza per una cura risolutiva della talassemia. La terapia genica, attualmente in sperimentazione, prevede tre fasi: il prelievo dall’organismo del paziente talassemico di cellule staminali emopoietiche, in grado cioè di produrre globuli rossi; la sostituzione del gene talassemico con un gene corretto funzionante (tale sostituzione viene eseguita mediante l'utilizzo di un virus reso innocuo che funge da vettore, vettore virale); il ritrasferimento nell’organismo del paziente delle cellule staminali modificate contenenti l'informazione corretta per la formazione dei geni globinici della beta proteina. In tal modo, l’organismo del paziente è messo nelle condizioni di produrre in maniera autonoma globuli rossi funzionanti.

Fonte: Pro Format Comunicazione – Ufficio stampa