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Medicina di base (Comunicati stampa - 2010-05-27 11:31:32)

Dolore cronico, i centri per le cure ad Hoc

Sofferenze sopportate a lungo dai cittadini, anche per mesi o anni, nella convinzione che "il dolore va accettato perche' fa parte della vita", e "talvolta sottovalutato dai medici che hanno poco tempo a disposizione per ascoltare i pazienti", e ben curato solo nei centri specializzati, ancora pochi e poco conosciuti, garantiti dal Servizio sanitario nazionale. E' il quadro che emerge da 'Non siamo nati per soffrire. Dolore cronico e percorsi assistenziali', indagine di Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato, presentata oggi al Senato, alla vigilia della IX Giornata nazionale del sollievo (30 maggio). La ricerca mostra che "il primo livello sul quale occorre intervenire e' quello dell'approccio culturale e della informazione sul problema del dolore cronico non oncologico".

L'indagine e' stata realizzata attraverso 418 questionari rivolti a pazienti in cura presso i Centri di terapia del dolore, pazienti affetti da patologia cronica e medici di famiglia. Lo studio, spiegano i realizzatori, nasce da un tavolo di lavoro in collaborazione con Pfizer, al quale hanno partecipato rappresentanti di Aic (Associazione italiana per la lotta contro le cefalee), Anmar (Associazione nazionale malattie reumatiche), Associazione pazienti con Bpco (broncopneumopatia cronica ostruttiva), Parkinson Italia, Fand (Associazione italiana diabetici), FederDolore, Fimmg (Federazione italiana medici di medicina generale), Uildm (Unione italiana lotta alla distrofia muscolare). "Sebbene una legge importante da poco approvata sulle cure palliative e la terapia del dolore (legge n.38 del 15 marzo 2010) faccia ben sperare, a vincere e' la scarsa informazione e un approccio culturale inadeguato nella cura del dolore cronico non oncologico", spiega Giuseppe Scaramuzza, vicepresidente di Cittadinanzattiva. "Il nostro impegno- aggiunge- in coincidenza con i trent'anni del nostro Tribunale per i diritti del malato, sara' di valutare l'applicazione della legge ed informare i cittadini che non soffrire e' un loro diritto".

A proposito di cittadini: numeri alla mano, "un cittadino su tre attende lunghi periodi, mesi o anche anni, prima di consultare un medico rispetto al suo dolore". Questo "viene sopportato o sottovalutato dal paziente in quasi un terzo dei casi (29%) oppure curato attraverso antidolorifici (23%)". Ancora, oltre la meta' dei pazienti (53%) deve consultare tra 2 e 5 medici prima di giungere ad un Centro specializzato per la cura del dolore, e in questo girovagare passano mesi (per il 34% degli intervistati) o addirittura anni (27%). Nel frattempo il 37% ricorre alla medicina alternativa: in ordine di frequenza, massaggi (34%), agopuntura (20%), omeopatia (15%), chiropratica (11%), osteopatia (8%). Il rapporto con il medico di famiglia e' riconosciuto come "centrale" nel percorso per la gestione del dolore: il 35% dei cittadini dichiara di rivolgersi in prima istanza ad esso per identificare il problema.

Dal rapporto emerge poi "il ruolo fondamentale" degli specialisti ai quali comunque il cittadino si rivolge in una percentuale "importante". Tuttavia la mancanza di tempo nelle visite presso il medico di famiglia e' segnalato come problematico sia da parte dei cittadini che da parte dei medici: per oltre un cittadino su tre (37%) il consulto non dura piu' di 5 minuti e per un altro 20% non va oltre i 10 minuti. Anche la grande maggioranza dei medici (63%) segnala come problematica la mancanza di tempo.

Quanto alla classe medica, "la quasi totalita'" dei medici (95%) dichiara di prescrivere farmaci oppiacei, di ritenerli efficaci (98%) e di informare sulle controindicazioni degli stessi (97%). Le dichiarazioni dei pazienti in cura mostrano, pero', delle disparita' regionali nella prescrizione degli oppioidi: al nord la percentuale di coloro che dichiara di averli ricevuti e' del 52%, al centro e' del 42%, al sud solo del 25%. "Assai scarsa" anche l'informazione sui Centri di terapia del dolore esistenti: l'80% dei medici non segnala ai cittadini l'esistenza di tali centri che risultano sconosciuti al 75% dei pazienti con dolore cronico. D'altra parte, nel 53% delle Asl non esiste un sistema informativo sull'esistenza di tali servizi. Quando il cittadino riesce ad accedervi, mostra una sostanziale soddisfazione per la cura ottenuta presso il Centro specializzato: l'86% valuta positivamente la gestione del dolore ottenuta e la quasi totalita' (94%) ritiene che gli specialisti del Centro prestino ascolto e comprendano il problema.

Anche i tempi di attesa risultano "accettabili", seppur con qualche differenza fra le diverse aree del paese: quasi il 50% attende solo alcuni giorni prima di essere inserito in cura presso il centro, mentre il 40% degli intervistati ha atteso qualche settimana ma comunque meno di un mese. Le attese tuttavia aumentano laddove i cittadini e i medici sono piu' consapevoli dell'esistenza dei Centri: al nord infatti il 62% dei pazienti aspetta qualche settimana. Per Cittadinanzattiva "e' evidente che i Centri per la terapia del dolore non sono ancora diffusi uniformemente sul territorio ne' in numero sufficiente alle esigenze dei cittadini". Negativo il giudizio sul supporto psicologico, del quale usufruisce solo il 23% dei pazienti. Anche chi e' in cura presso un Centro deve sostenere di tasca propria alcune spese non indifferenti, a partire dalle visite specialistiche effettuate privatamente a causa delle lunghe liste di attesa nel pubblico.

Alcuni dati dell'indagine mostrano poi quanto il dolore "sia un fattore debilitante ed invalidante e vada ad incidere pesantemente sul contesto lavorativo e familiare, sia dal punto di vista economico che delle relazioni". Il 28% dichiara di provare stanchezza cronica ed insonnia, il 35% di avere importanti alterazioni dell'umore, il 30% dichiara di aver paura di provare dolore. Seppur in una percentuale bassa, il 2% ha dichiarato che il dolore provoca in lui pensieri suicidi. A livello di status sociale, il 36% vive il senso di abbandono, il 26% la perdita del ruolo in famiglia, il 18% la perdita di prestigio e guadagno sul lavoro, il 16% la perdita di posizione sociale.

Fonte: Dire