MedicinaOltre.com PATOLOGIE    DIZIONARIO MEDICO     CONTATTI     PUBBLICITA'    CREDITS     HOME 
MedicinaOltre - guida pratica per la famiglia
TUTTI GLI ARTICOLI:
RICERCA SU TUTTO IL SITO:

RICERCA ARTICOLI







Medicina di base (Articoli - 2010-03-31 11:48:17)

Epatite C & HIV

Curare l’epatite C nella persona con HIV, il virus che causa l'AIDS.
Non è passato molto tempo da quando essere HIV-positivi significava preoccuparsi in primo luogo di questa malattia e di tutte le infezioni opportunistiche relazionabili ad essa: lo stato di AIDS era considerato l’obiettivo da evitare e quindi le altre problematiche di salute, non direttamente connesse, venivano messe in secondo piano. Con l’avvento dei nuovi farmaci antiretrovirali, e della terapia di combinazione altamente efficace, la maggior parte delle persone con infezione da HIV ha una più lunga aspettativa di vita, tanto da poter dire, negli ultimi anni, che l’orientamento scientifico è profondamente mutato, classificando l’infezione da HIV come una patologia che richiede strategie di trattamento “per il lungo termine”, non soltanto nell’ambito specifico dell’HIV, ma anche in tutti quelli direttamente connessi a garantire benessere. Ecco perché è cruciale occuparsi delle infezioni concomitanti nella persona con HIV: il trattamento di queste diventa un trampolino per permettere la costruzione di una vita lunga ed in salute. Tra queste giocano un ruolo molto importante le epatiti virali: in particolare in Italia quasi il 50% delle persone HIV-positive è anche coinfettata con il virus dell’epatite C, detto HCV. Con questo opuscolo cercheremo di approfondire il tema della coinfezione HIV/HCV, dando alle persone affette motivo di riflessione per curarsi in modo adeguato, consentendo così un percorso di vita a lungo termine.

CHE COSA SONO LE EPATITI?
Per epatite si intende un processo infiammatorio a carico del fegato. Le cause più comuni possono essere di carattere: virale, ossia causata da virus, agenti infettanti; autoimmune, ossia causata da anticorpi specifici contro le cellule epatiche; tossica, ossia causata da alcol, e/o sostanze chimiche quali farmaci. Le epatiti virali sono patologie infettive. Per alcune di esse, l’epatite A (HAV) e l’epatite B (HBV), esistono vaccini sicuri che permettono di prevenire l’infezione. Questi vaccini sono altamente raccomandati nelle persone HIV-positive ed in particolare nelle persone HIV/HCV coinfette. E’ fondamentale dunque rivolgersi al proprio medico infettivologo per farsi indicare come poterne usufruire nella propria città. Non esiste attualmente un vaccino per l’epatite C.


L’EPATITE C È UNA EPATITE VIRALE
L’agente infettivo, il virus HCV (Hepacivirus), fa parte della famiglia dei Flaviviridae. Sono stati identificati sei diversi tipi, detti genotipi. Ancora non è chiaro se ci siano differenze nel decorso clinico della malattia per i diversi genotipi, ma ci sono differenze nella risposta dei diversi genotipi alle terapie antivirali. L’infezione acuta da HCV è spesso asintomatica ed anitterica, ossia non si diventa “gialli” (in oltre i 2/3 dei casi). I sintomi, quando presenti, sono caratterizzati da dolori muscolari, nausea, vomito, febbre, dolori addominali ed ittero. Un decorso fulminante fatale si osserva assai raramente (0,1%). L’infezione acuta diventa cronica in una elevatissima percentuale dei casi, stimata fino all’85%. Il 20-30% dei pazienti con epatite cronica C sviluppa nell’arco di 10-20 anni una cirrosi sulla quale, nell’1-4% dei casi/anno, può insorgere un epatocarcinoma (tumore del fegato). La distribuzione del virus è universale. L’infezione colpisce circa il 3% della popolazione mondiale. I soggetti infettati da HCV sono circa 170 milioni nel mondo e vengono diagnosticati dai 3 ai 4 milioni di nuovi casi/anno. In Italia la percentuale di soggetti infetti va dal 3 al 12% della popolazione generale, con un gradiente che cresce in senso nord-sud e con l’età. Condividendo le stesse vie e modalità di trasmissione dell’HIV, l’infezione da HCV si riscontra in un’elevata percentuale di pazienti HIV positivi, circa il 50%, tuttavia tale percentuale può risultare superiore al 75% in alcune popolazioni ad alto rischio quali i tossicodipendenti per via endovenosa o i politrasfusi. La coesistenza dei due virus nell’organismo (coinfezione HIV/HCV) è in grado di accelerare la progressione del danno al fegato, rendendo la patologia epatica più grave e più rapidamente evolutiva. Il periodo di incubazione va da 2 settimane a 6 mesi, ma per lo più varia nell’ambito di 6-9 settimane. La trasmissione avviene principalmente per via parenterale, cioè attraverso l’inoculazione di sangue infetto. Sono stati documentati anche casi di contagio per via sessuale. Raramente si può osservare la trasmissione per via verticale da madre a figlio (meno del 5% dei casi), tuttavia la contemporanea presenza dell’infezione da HIV aumenta il rischio di trasmissione di HCV di 4-5 volte. Grazie al controllo delle donazioni di sangue attraverso il test per la ricerca degli anticorpi anti-HCV, attualmente il rischio d’infezione in seguito a trasfusioni di sangue ed emoderivati si è ridotto a meno dell’1%. Come già detto, non esiste un vaccino per l’epatite C e anche l’uso di immunoglobuline non si è mostrato efficace. Le uniche misure realmente efficaci sono rappresentate dalla osservanza delle norme igieniche generali, dalla sterilizzazione degli strumenti usati per gli interventi chirurgici e, per i trattamenti estetici, nell’uso di materiali monouso, nella protezione dei rapporti sessuali a rischio.


PERCHÉ PREOCCUPARSI TANTO DEL FEGATO?
Avere un fegato sano, specialmente per la persona HIV-positiva, è certamente una delle basi per la sopravvivenza a lungo termine. I danni causati dall’epatite C possono accumularsi nell’arco di anni: è dunque importantissimo occuparsi di questa infezione. Un’alimentazione corretta e la limitazione del fumo e dell’alcol sono i modi per mantenere sano il proprio fegato. In particolare chi è HCV-positivo dovrebbe astenersi completamente dall’assunzione di alcolici. Il fegato è un organo che svolge numerose funzioni di fondamentale importanza per l’organismo:
- contribuisce alla funzione digestiva tramite la produzione di bile che favorisce l’assorbimento dei lipidi contenuti negli alimenti da parte delle cellule intestinali;

- regola il metabolismo dei carboidrati, dei lipidi e delle proteine e contribuisce a mantenere costanti i livelli di glucosio e di colesterolo nel sangue;
- sintetizza numerose proteine tra cui l’albumina ed i fattori necessari alla coagulazione del sangue;

- rappresenta la principale sede in cui gli ormoni sono metabolizzati per poi essere eliminati dall’organismo;

- trasforma e promuove l’eliminazione di un cospicuo numero di farmaci e di sostanze tossiche, tra cui l’alcol, sotto forma di molecole inattive.

TRASMISSIONE DEL VIRUS DELL’EPATITE C
La trasmissione avviene principalmente per contatto con sangue infetto (via parenterale). La maggior parte delle persone affette da epatite C ha contratto questo virus tramite trasfusioni di sangue o di emoderivati infetti, o tramite lo scambio con soggetti infetti di siringhe o di altro materiale utilizzato per preparare le sostanze da iniettare. Altra categoria potenzialmente esposta all’epatite C è il personale sanitario, per il rischio di punture o lesioni cutanee con aghi o strumenti infetti. Le persone che si sottopongono a cure dentali, “body piercing” o tatuaggi, devono accertarsi che tali interventi siano effettuati con strumenti sterili. La trasmissione per via sessuale del virus dell’epatite C è stata ed è oggetto di controversie tra i ricercatori. Tuttavia è opportuno annoverare questa modalità di trasmissione come possibile. Le persone con la malattia in fase attiva e che cambiano spesso partner sessuale, possono essere una fonte di infezione. Pertanto dovrebbero usare il profilattico per ridurre il rischio di trasmettere l’HCV al partner (regola da applicare sempre e comunque per la prevenzione di molte malattie sessualmente trasmesse, tra cui l’HIV). Il sesso praticato durante il ciclo mestruale dovrebbe essere evitato, per via del contatto di sangue che può esserci in quel periodo. Per le donne in gravidanza è raccomandato il parto cesareo elettivo per ridurre il rischio di trasmissione al nascituro. Alcuni ricercatori hanno messo in relazione l’utilizzo di cocaina con l’infezione da HCV: sniffare cocaina o altre droghe condividendo la stessa cannuccia (o banconota arrotolata) con altre persone potrebbe essere un fattore di rischio per contrarre l’HCV. Infatti, l’utilizzo di cocaina per via nasale produce piccole lesioni ulcerative della mucosa che possono talvolta sanguinare. Le persone che sono colpite da herpes genitale sono molto più esposte al rischio di contrarre o trasmettere il virus HCV per via sessuale. In un discreto numero di persone HCVpositive non è possibile tuttavia risalire alle modalità di infezione.

IL VIRUS DELL’EPATITE C NON SI TRASMETTE PER VIA AEREA

Il virus dell’epatite C NON si diffonde:
- starnutendo o tossendo;
- stringendo la mano; baciando;
- usando lo stesso bagno di una persona con HCV;
- mangiando cibo preparato da qualcuno con HCV;
- nuotando nella stessa piscina con persone con HCV.

L’HCV può trasmettersi se si usano i seguenti strumenti prima utilizzati da persone con epatite C:
- rasoi, forbici o tagliaunghie, oggetti taglienti;
- spazzolini da denti;
- aghi per il body piercing o per i tatuaggi;
- siringhe e materiali usati per preparare sostanze da iniettare.

COME SI RICERCA L’HCV NEL SANGUE?
La diagnosi di epatite C viene effettuata mediante un test che ricerca gli anticorpi anti- HCV su un campione di sangue (ELISA). Il test anticorpale indica se il soggetto è venuto a contatto con il virus e se ha prodotto gli anticorpi specifici. Questo test non determina se vi sia ancora virus circolante oppure no, o da quanto tempo vi sia stata l’infezione. Se il test ELISA risulta positivo si può eseguire un test di conferma con metodologia RIBA. In caso di avvenuto contatto, il tempo necessario perché si sviluppino gli anticorpi nel sangue ed il test risulti pertanto positivo è variabile fra i 15 ed i 150 giorni. Vi sono ulteriori indagini per determinare la presenza del virus C nel sangue, tra cui la tecnica della PCR (Polymerase Chain Reaction). Nemmeno l’HCV PCR può determinare da quanto tempo una persona abbia contratto l’epatite.
Riassumendo, esistono tre test importanti per diagnosticare l’epatite C:
- il test ELISA che scopre gli anticorpi contro il virus;
- il test RIBA che è il test di convalida per gli anticorpi;
- il test HCV PCR qualitativo e quantitativo, che rileva la presenza o meno del virus nel sangue e ne determina la quantità circolante.


Esistono numerose varianti virali, classificabili in “genotipi” e sottotipi distinti. In particolare si conoscono sei genotipi (numerati appunto da 1 a 6). Alcuni genotipi mostrano una diversa distribuzione geografica ed una diversa suscettibilità alla terapia medica. In particolare i genotipi 1 e 4 rispondono meno al trattamento e sono pertanto definiti genotipi “difficili”. Oltre la metà delle epatiti C è causato dal particolare genotipo 1b.

ESAMI DI LABORATORIO
La funzionalità del fegato può essere monitorata mediante il dosaggio ematico di specifici parametri: le transaminasi GPT e GOT sono enzimi contenuti nelle cellule del fegato che vengono riversati in circolo in caso di sofferenza epatica. Il monitoraggio delle transaminasi è fondamentale per seguire l’evoluzione dell’epatite e la risposta all’eventuale terapia in corso. Tuttavia non è corretto utilizzare come indicatore di possibile infezione da HCV solo il livello delle transaminasi: accade spesso che, pur essendo queste normali, si riscontri positività agli anticorpi anti-HCV. Alcuni farmaci per il trattamento dell’HIV possono manifestare il loro potenziale epatotossico mediante un incremento delle transaminasi. Il monitoraggio di questi enzimi, pertanto, nel paziente HIV/HCV coinfetto, assume un’importanza ancora maggiore. Altri parametri da tenere sotto controllo sono gli indici di colestasi: fosfatasi alcalina e gamma-GT. L‘alterazione della fosfatasi alcalina e delle gamma-GT possono essere l’espressione di un ostacolo all’escrezione della bile la cui causa più frequente è la presenza di calcoli. Sebbene pazienti HIV/HCV coinfetti possano mostrare livelli di GPT normali, la biopsia epatica potrebbe ugualmente mostrare evidenze istologiche di epatite cronica.

LA BIOPSIA EPATICA
L’esame di maggior importanza per determinare l’entità del danno epatico è la biopsia. Si tratta di una procedura diagnostica invasiva che prevede il prelievo di un piccolo campione di tessuto epatico, che è successivamente esaminato al microscopio per determinare lo stadio e l’estensione del danno istologico. Viene eseguita in regime ambulatoriale, richiede una semplice anestesia locale ed i pazienti sono dimessi entro 3-6 ore.

PERCHÉ TRATTARE L’HCV?
Non riteniamo utile fornire in questa sede i dettagli sugli studi scientifici che dimostrano l’importanza di trattare l’HCV, specialmente nella persona coinfetta HIV/HCV. E’ importante che la persona HIV/HCV-positiva assuma la consapevolezza che trattare l’epatite C quando necessario, è la strategia migliore per assicurarsi che il proprio fegato sia nelle condizioni ideali per sopportare il peso della pressione farmacologica causata dalle terapie anti-HIV: un fegato sano significa avere la possibilità di programmare una vita più lunga e salutare. Oltre il 70% dei soggetti che si infetta con l’HCV non riesce ad eliminare il virus nelle prime fasi della malattia; in questi casi (fino all’80%) l’infezione da ‘acuta’ diviene ‘cronica’. Il persistere dell’azione virale porta gradualmente ad un cambiamento dell’istologia del fegato: la lesione iniziale è la fibrosi (deposito di materiale amorfo), che successivamente progredisce verso la cirrosi e, potenzialmente, verso il tumore del fegato. La contemporanea infezione da HIV determina una più rapida progressione verso la cirrosi e lo scompenso epatico. Tra i vari fattori chiamati in causa per spiegare tale andamento, oltre a quelli classici quali l’età e soprattutto il consumo di alcol, ci sarebbe anche un ruolo svolto proprio dal danno principale indotto dall’infezione da HIV, cioè la perdita progressiva di linfociti CD4, che determinerebbe una progressione più rapida della fibrosi. Ecco perché è importante controllare l’eventuale presenza dell’HCV, parlarne con il proprio medico, monitorare l’eventuale infezione, rendersi disponibili per un percorso terapeutico, specialmente nella persona con HIV. In caso di coinfezione HIV/HCV, la progressione del danno epatico è più rapida e la terapia antiretrovirale sembra avere un’efficacia minore.

LE ATTUALI TERAPIE PER L’HCV
Attualmente il trattamento standard dell’HCV nei pazienti coinfetti HIV/HCV è rappresentato dagli interferoni peghilati (a lento rilascio) associati ad un farmaco a somministrazione orale, la ribavirina. Diversamente da quanto è oramai codificato per la monoinfezione da HCV, in cui la durata del trattamento varia fra le 24 e le 48 settimane in relazione al genotipo (facile o difficile) e alla carica virale del virus C, nel paziente coinfetto la terapia dovrebbe essere protratta per 48 settimane indipendentemente da questi fattori. Esistono in commercio due tipi di interferoni peghilati e due tipi di ribavirina. Un colloquio con il medico infettivologo aiuterà a comprendere pro e contro dei vari prodotti esistenti sul mercato e gli effetti collaterali indissolubilmente associati ad essi. Il rapporto medico-paziente, fondato su una comunicazione franca, è la base della riuscita del trattamento. Il paziente deve essere messo al corrente di tutti i disagi a cui andrà incontro durante la terapia, ma anche degli enormi benefici che potrà trarne. Il percorso terapeutico dunque è frutto della coppia medico-paziente. A seconda del genotipo HCV, le percentuali di riuscita del trattamento (ossia della completa eliminazione del virus dall’organismo) variano, nelle persone coinfette, dal 30% (genotipo 1) al 60% circa (genotipi 2 e 3).

LA SCELTA DI CURARSI OGGI
Non è certo una “passeggiata” scegliere di intraprendere il percorso terapeutico per la cura dell’HCV. Specialmente nelle persone HIV/HCV positive, in cui spesso si devono assumere anche farmaci contro l’HIV, l’impresa può sembrare difficoltosa. Tuttavia gli enormi benefici che se ne possono trarre a lungo termine devono motivare la scelta. Gli interferoni causano effetti collaterali come sintomi influenzali, problemi emotivi (ansia, cambiamenti d’umore, depressione), stanchezza. Se si decide di curarsi è fondamentale aderire al trattamento, ossia assumere i farmaci alle dosi corrette e agli orari prescritti dal medico. Ripetiamo: un colloquio medico-paziente deve essere la base motivazionale per intraprendere questo percorso. Sapere a cosa si va incontro non significa spaventarsi, ma avere coscienza di cosa si sta facendo per il proprio futuro, visto che le percentuali di riuscita del trattamento sono oggi molto più elevate rispetto al passato e visto che è proprio il fegato, causa tossicità dei farmaci anti-HIV, la maggior preoccupazione per le persone HIV-positive.

CONCLUSIONI: LA CULTURA DEL LUNGO TERMINE
Questo opuscolo informativo non ha la pretesa di essere esaustivo: esso vuole solamente sensibilizzare tutte le persone, in particolar modo quelle HIV/HCV-positive, ad entrare nell’ottica di richiedere al proprio infettivologo non soltanto un monitoraggio della propria condizione in merito all’HCV, ma anche ad essere protagonisti e propositivi nel prendere in seria considerazione il trattamento dell’infezione da HCV, in quanto base per la costruzione di una vita più sana e più lunga. Avere infatti un fegato sano, che sopporti meglio il regime farmacologico della terapia per l’HIV, è certamente la base per costruire un percorso a lungo termine. Ecco perché si richiede, previo colloquio medico-paziente, un’assunzione di responsabilità da parte dei pazienti stessi nei confronti della propria salute: un ruolo attivo spesso risolve molti problemi futuri, considerando anche gli aspetti meno belli che il trattamento per l’HCV può comportare. Fare un sacrificio iniziale (ossia il trattamento per l’HCV) per poter essere però più sicuri nel corso della propria vita è una filosofia da prendere in seria considerazione. Nelle persone HIV-positive, non HCV coinfette, si consiglia di effettuare il test per diagnosticare l’eventuale presenza di epatite C una volta l’anno.

Tante informazioni potete trovarle sul sito dell'Associazione Nadir Onlus (www.nadironlus.org)

Nadir Onlus - HIV Treatment Group è un'associazione Patient Based. I soci hanno deciso di promuovere un nuovo ruolo per le persone sieropositive: diventare uno dei tre elementi del triangolo medico-farmaco-paziente. Un paziente informato è di aiuto a se stesso, alla comunità scientifica ed alla società: creare le basi culturali per un dialogo alla pari tra le parti, secondo i rispettivi ruoli, è dunque cruciale.

Fonte: Associazione Nadir Onlus