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Medicina di base (Comunicati stampa - 2009-02-16 14:18:45)

Insufficienza Renale cronica: viaggio al centro della dialisi

Un’indagine promossa dalla FIR, Fondazione Italiana del Rene-Onlus e realizzata da CSD, Cegedim Strategic Data, con il contributo incondizionato di SHIRE, esplora per la prima volta il vissuto dei pazienti in emodialisi.

Il 50% degli intervistati si dichiara molto soddisfatto del rapporto con medici e infermieri e il 30% lo è addirittura “moltissimo”. Sono solo due dei numerosi dati presentati oggi a Roma dagli Esperti ai 54 Centri specializzati coinvolti nel Progetto MigliorDialisi. L’indagine, durata due mesi, consisteva in una serie di domande che spaziavano dalla qualità dell’assistenza allo stile di vita, alle cure. È stata condotta su 1238 pazienti in emodialisi, in cura presso Centri sparsi su tutto il territorio nazionale: 17 nel Nord Ovest, 10 nel Nord Est, 7 nel Centritalia, 20 nel Sud e Isole. Il Progetto, per la prima volta, ha tracciato un profilo del paziente con insufficienza renale cronica, del suo stato di salute e delle sue necessità. A partire dall’identità. Ora si sa che i pazienti in emodialisi sono uomini nel 64% dei casi e donne nel restante 36%, il 35% degli intervistati ha meno di 61 anni, il 55% è nella fascia d’età tra i 61 e gli 80 anni e il 10% è ultraottantenne. “I risultati del Progetto MigliorDialisi fotografano una realtà che permette ai Centri specializzati di migliorare la qualità della vita di chi soffre di insufficienza renale cronica,” spiega Vittorio Andreucci, Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università Federico II di Napoli e Presidente della FIR. “Perché, dati alla mano, la malattia renale condiziona ancora troppo la quotidianità dei pazienti in 8 casi su dieci.”


Il rapporto con i medici e gli infermieri dei Centri
“Sì, però…”. Con questa frase si potrebbero riassumere i risultati emersi dal Progetto MigliorDialisi. I pazienti emodializzati dicono “sì” per quanto riguarda il rapporto con il personale, sia medico, sia infermieristico. “È un aspetto positivo fondamentale, dal momento che si tratta di pazienti che trascorrono ampi spicchi delle loro giornate in ospedale: nel 94% dei casi la media è di tre sedute alla settimana,” chiarisce il Prof. Andreucci. “Hanno dichiarato infatti di ricevere spiegazioni esaurienti sulla terapia, di essere sostenuti, incoraggiati e ascoltati quando esprimono le loro preoccupazioni.” La maggioranza degli intervistati invece non avverte la necessità di effettuare la dialisi a casa e di avere l’assistenza da parte dei familiari.
Dall’indagine traspare l’universo del paziente in dialisi, anche grazie all’approccio scientifico utilizzato per effettuare le interviste. “I criteri utilizzati hanno permesso di valutare in modo globale l’impatto della malattia sul paziente e sulla sua sfera affettiva e sociale” dichiara il Prof. Diego Brancaccio, Direttore della Cattedra di Nefrologia dell’Università degli Studi di Milano e Primario dell’Ospedale San Paolo. ”Guidati per mano dai dializzati possiamo così analizzare, da una prospettiva diversa, i dati dell’indagine e focalizzarci con maggiore precisione su ciò che va migliorato, al fine di realizzare un modello di assistenza sempre più a misura del paziente.”


Il vissuto della malattia e della dialisi
Ma come stanno i pazienti in linea generale? Gli intervistati si danno un buon voto per quanto riguarda il loro stato di salute. In una scala da 0 (pari a “pessimo”) a 10 (cioè ottimo) la media generale è pari a 5.9. Stessa votazione anche per quanto riguarda la qualità del sonno: il punteggio medio è pari a 6. La dialisi non interferisce più di tanto neppure con la sfera affettiva del paziente. In una scala da 1 (per nulla) a 7 (moltissimo), nella maggior parte dei casi è stato dato un punteggio mediamente inferiore a 3.
Dall’indagine emergono altri disturbi di salute. Due dati valgono per tutti: sei su dieci soffrono di ipertensione e cinque su dieci di disturbi cardiovascolari, per citare i più comuni. “Le co-morbidità sono un evento piuttosto comune nel paziente in dialisi e non c’è da stupirsene, perché sono legate alla compromissione della funzionalità renale,” aggiunge il Prof. Brancaccio. “Per questo viene messa in atto una strategia globale di approccio con terapie farmacologiche e controlli diagnostici regolari, indispensabili per verificare se lo stato degli organi rimane stabile o peggiora.”


La testimonianza di un paziente
Queste valutazioni vengono confermate in prima persona da un paziente del Centro Dialisi dell’Azienda Ospedaliera Università Federico II di Napoli, che è intervenuto con la sua testimonianza alla presentazione del Progetto MigliorDialisi. “Certo, un giorno sì e uno no lo devo trascorrere in terapia e nelle ore successive al trattamento non posso dire di essere in ottima forma,” dichiara il Signor Pasquale, in dialisi da circa un anno. "Ma sono riuscito a non far subire alla mia vita eccessivi contraccolpi. Adeguando il mio tran-tran quotidiano alla dialisi, mantengo tuttora i miei impegni e non trascuro i miei affetti. C’è da dire anche che nell’arco del tempo la dialisi si è trasformata in un appuntamento fisso, quasi un’abitudine, e si è creato un legame in ospedale, sia con i “compagni di avventura”, sia con medici e infermieri.”


Il vissuto della malattia e della dialisi
Dicono “sì”, dunque, alla qualità dell’assistenza. Ma ci sono anche dei “però”. Dall’indagine emerge la richiesta da parte dei pazienti di avere più possibilità di svago durante i lunghi trattamenti. Il che significa, avere a disposizione la televisione e la radio nelle stanze dove viene effettuata la dialisi, e una gamma di riviste e di libri tra cui scegliere. “Dobbiamo sempre tenere presente che il dializzato trascorre presso il Centro Dialisi tre sedute settimanali di almeno quattro ore consecutive," interviene il Dr. Francesco Rossa, bioeticista, Consigliere di amministrazione e Socio fondatore della Fondazione Italiana del Rene-Onlus. "È pertanto indispensabile che i locali adibiti siano a norma in materia di igiene ambientale e di sicurezza e che siano garantiti sia la sistemazione logistica degli stessi, sia la funzionalità dei letti e delle dotazioni, in modo da garantire l’ottimale svolgimento delle sedute dialitiche. Il maggiore collegamento con il mondo esterno rappresenterebbe inoltre un indubbio vantaggio per l’utente e lo farebbe sentire meno “cronicizzato”. Teniamo poi conto che circa il 35% dei pazienti ha meno di 60 anni ed è in una fascia di età ancora molto attiva, con un lavoro, affetti, hobby, interessi culturali. Nel loro caso sarebbe opportuno consentirne l’inserimento in turni serali di dialisi con flessibilità organizzative adeguate e compatibili al mantenimento dell’attività lavorativa, al fine di evitarne la disabilità. Infine, non scordiamoci che spesso per loro la dialisi è una fase di passaggio in quanto candidati al trapianto, che a tutt’oggi rappresenta la soluzione definitiva all’insufficienza renale. La tematica relativa ai trapianti è stata un po’ collaterale rispetto agli altri argomenti affrontati nell’ambito dell’indagine. Si tratta però di un tema di primaria importanza e i dati emersi meritano un’approfondita valutazione”. A tutt’oggi, ci dice il Progetto MigliorDialisi, il 22% degli intervistati è in lista per il trapianto e il 74% è in fase di accertamento. E tra i 913 che non sono in lista, il 38% è stato escluso per una questione di età e quasi tutti gli altri per problemi di salute. Fa eccezione un dato: l’11% non vuole il trapianto per libera scelta.


Le diete e le restrizioni sull’alimentazione e sul bere
Ma i desideri al fine di una migliore qualità di vita non sono finiti. Indipendentemente dall’età, tutti sono unanimi nella richiesta di un dietista. Presente solo in quattro centri su dieci, secondo i pazienti. “A onor del vero ci sono nel 51% dei Centri,” precisa il Prof. Andreucci. “Il fatto che le dichiarazioni dei pazienti non rispecchino la realtà significa che non tutti sono al corrente dell’esistenza di un dietista in reparto.” Per quasi nove pazienti su dieci, la dieta è importante in dialisi. La maggiore richiesta? Cinque su dieci vorrebbero uno schema alimentare scritto. “La dieta rappresenta una vera e propria terapia di supporto,” interviene il Prof. Andreucci. “Da seguire con diligenza per contribuire ad un miglior controllo delle condizioni clinico-metaboliche del paziente.”
La maggiore presenza di dietisti darebbe forse anche la possibilità ai pazienti di confrontarsi su alcuni aspetti dell’alimentazione, come la gestione della sete. Non dimentichiamoci che chi è in emodialisi deve trattenersi dal bere. È una restrizione che pesa, a guardare i dati: in una scala da 1 (pari a “per nulla”) a 5 (cioè “moltissimo”) il punteggio medio dei pazienti è stato pari a 3,6.


I problemi della terapia orale
Ultima, ma non meno importante, la richiesta di strumenti medicali che alleggeriscano la loro vita quotidiana, già abbastanza dipendente da un macchinario. Come aghi e fistole più piccoli, più comodi e meno invasivi, letti-bilancia per la dialisi.
E di cure farmacologiche meno “pesanti” da seguire. “Questo è tra gli obiettivi primari della medicina e in parte si sta già concretizzando grazie a principi attivi di ultima generazione” afferma il Prof. Andreucci. “Purtroppo - continua Andreucci - il paziente dializzato deve assumere anche molti medicinali di supporto alla terapia dialitica. Ciò è di un certo imbarazzo quando il farmaco non può essere iniettato durante la dialisi, ma deve essere assunto per bocca sotto forma di pastiglie. Consideriamo infatti che le pastiglie vanno assunte con acqua, ma che il dializzato deve bere poco per evitare che nel corso delle quattro ore di dialisi non si riesca a togliere l’acqua introdotta in eccesso”. “Se si leggono nel dettaglio i dati del Progetto MigliorDialisi - continua il Prof. Andreucci - si vede che ben il 37% dei pazienti assume più di 10 compresse al giorno e il 10% ne prende oltre 15. Per ridurre il numero delle pillole che il paziente dializzato è costretto ad assumere si possono però utilizzare farmaci che hanno un effetto prolungato nel tempo. Così per esempio, tra i farmaci antipertensivi, quasi sempre indispensabili per correggere l’ipertensione arteriosa, abbiamo a disposizione dei beta-bloccanti (come l’atenololo) che agiscono per 24 ore, da preferire a quelli a più breve durata di efficacia (come il propranololo).
Analogamente, tra i chelanti del fosforo, indispensabili per correggere il fosforo elevato nel sangue senza ricorrere a prodotti a base di alluminio che può essere tossico, oggi è possibile usare il carbonato di lantanio”.
“Il carbonato di lantanio è un farmaco che si può impiegare in monoterapia ed è completamente esente dagli effetti osservati quando si usava il chelante a base di alluminio. Mantiene la calcemia a livelli adeguati e non ha alcun effetto tossico sul fegato, da cui viene eliminato. Anche questa riduzione delle pillole giornaliere - conclude il Prof. Andreucci - contribuisce a migliorare la qualità della vita dei nostri pazienti in terapia dialitica”.

Fonte: Ketchum PR - Ufficio Stampa Ufficio stampa Fondazione Italiana del Rene-Onlus