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Medicina di base (Articoli - 2008-04-16 14:18:45)

Caffè, antiossidanti e benessere: nuove prospettive

Importanti benefici per il benessere e la salute nella bevanda più apprezzata dagli italiani: lo confermano recenti studi scientifici che sottolineano il ruolo positivo dell’alto contenuto in antiossidanti.

Milano, 15 aprile 2008 – Elevato potere antiossidante grazie al contenuto degli acidi clorogenici, azione protettiva nei confronti dello sviluppo del diabete di tipo 2 e del morbo di Parkinson, rallentamento del naturale declino cerebrale nelle persone anziane, nessun effetto sfavorevole sul rischio cardiovascolare: sono queste le principali novità legate al consumo di caffè che emergono dai più recenti studi scientifici internazionali.

NFI, Nutrition Foundation of Italy – il Centro Studi dell’Alimentazione – ha fatto il punto della situazione insieme ad esperti internazionali: il professor Augustin Scalbert, Direttore del laboratorio di “Micronutrients, Metabolism and Biological Signatures” presso l’INRA Clermont-Ferrand e il professor Francesco Visioli della Nutrition Foundation of Italy e Direttore del laboratorio di “Micronutrienti e malattie cardiovascolari” presso l’Università di Parigi “Pierre et Marie Curie” evidenziano in particolar modo i numerosi benefici derivanti dal consumo di caffè, sottolineati dalla più recente letteratura scientifica, grazie al suo contenuto naturale di antiossidanti.

Il caffè rappresenta una delle bevande più bevute al mondo, con un consumo che, seppur molto variabile da paese a paese in quantità e modalità, oscilla tra i 12 kg pro capite annui della Finlandia ai circa 2 kg del Regno Unito e la Repubblica Ceca. L’Italia registra mediamente un consumo di caffè di 6 kg/annui a persona (fonte: International Coffee Organization). Nonostante questi dati però, c’è ancora oggi scarsa conoscenza sulle proprietà nutrizionali del caffè, e spesso l’attenzione del pubblico resta focalizzata esclusivamente sulla caffeina ed i suoi effetti sull’organismo. Dati di un’indagine condotta a livello europeo, infatti, mostrano che più dell’80% del campione non è a conoscenza degli elementi nutrizionali contenuti nella bevanda (fonte: GKF, gennaio 2007).

Il caffè è in realtà una delle fonti dietetiche più abbondanti in antiossidanti naturali, quelle molecole che rallentano o prevengono i danni da radicali liberi. Gli acidi clorogenici sono i principali composti ad azione antiossidante contenuti nel caffè e senz’altro i più potenti. Analizzati prima della torrefazione del chicco, risultano essere molto numerosi e di struttura diversa; i diversi processi di lavorazione, la temperatura, la macinazione ne riducono la presenza anche fino al 90% ma in ogni caso è possibile affermare che 100 ml contengono circa 250 mg di acidi clorogenici, una quantità rilevante.

Alcuni studi epidemiologici condotti in Olanda e Finlandia hanno evidenziato come il consumo di caffè, probabilmente grazie al contenuto in acidi clorogenici, si associ ad effetti preventivi nei riguardi di patologie oggi molto diffuse, come il diabete di tipo 2 ed il morbo di Parkinson.

Nel 2002 la rivista Lancet ha pubblicato uno studio condotto su un campione molto vasto di 17.000 uomini e donne olandesi dal quale è emerso che la probabilità di sviluppare diabete di tipo 2 fosse inferiore del 50% nei soggetti che consumavano quotidianamente un minimo di sette caffè al giorno rispetto a chi ne consumava solo due. Risultati confermati anche da uno studio clinico successivo, pubblicato due anni più tardi e realizzato in Finlandia su 14.000 soggetti osservati per un periodo di ben 12 anni: tra i consumatori di quantità molto elevate di caffè (10 tazze al dì) è stata riscontrata una riduzione del rischio di sviluppare diabete di tipo 2 del 55% tra gli uomini, e del 79% tra le donne. Tali risultati sembrano dovuti ad un’azione protettiva che l’acido clorogenico e gli altri antiossidanti polifenolici attivano nei confronti dell’organismo: viene così inibito l’assorbimento del glucosio a livello intestinale ed aumentato il consumo energetico. Questi effetti sembrerebbero addirittura maggiori con il consumo di caffè decaffeinato. Uno studio pubblicato nel 2006 su Archives of Internal Medicine, infatti, che ha testato un campione di 29.000 donne in post-menopausa ha evidenziato che il consumo di 6 tazze di caffè decaffeinato al giorno può ridurre il rischio di diabete di tipo 2 del 33% contro il 21% del caffè normale.

L’azione antiossidante dei polifenoli contenuti nel caffè sembra avere inoltre un effetto positivo anche sull’incidenza di malattie neurogenerative, con particolare riferimento al morbo di Parkinson. Un effetto favorevole in tal senso potrebbe tuttavia essere attribuito anche alla caffeina. Le evidenze più significative a questo proposito emergono da uno studio condotto dal dottor Alberto Ascherio dell’Università di Boston su un campione di 300.000 soggetti: i dati riscontrati a livello molecolare mostrano come la caffeina riesca ad intervenire sulla tossicità dopaminergica, responsabile dei danni subiti dai neuroni della substantia nigra che regola gli impulsi all’attività motoria.

La letteratura scientifica riporta, inoltre, un numero sempre maggiore di studi che evidenziano la capacità del caffè di contribuire al mantenimento della funzionalità cognitiva. Da un recentissimo studio pubblicato nel 2007 sull’European Journal of Clinical Nutrition realizzato su un campione di 676 uomini sani nati tra il 1900 e il 1920 seguiti per un periodo di 10 anni è emerso che il declino cognitivo era circa dimezzato nei soggetti che avevano l’abitudine di consumare regolarmente tre tazze di caffè al giorno. Ad avvalorare la tesi del caffè che “fa bene al cervello” esiste anche uno studio presentato al meeting annuale della Psysiological Society nel 2006 secondo cui la caffeina sarebbe in grado di aumentare la frequenza di alcune onde cerebrali migliorando quindi memoria e apprendimento.

Ma i benefici di questa domanda sembrano avere effetti positivi anche sull’insorgenza di patologie epatiche degenerative. Uno studio apparso nel 2006 su Archives of Internal Medicine ha analizzato 125.000 soggetti e ha evidenziato che ogni tazza di caffè bevuta al giorno era associata ad una diminuzione del 22% del rischio di sviluppare cirrosi epatica. Una meta-analisi successiva ha anche esteso questi risultati ad altre gravi patologie come il carcinoma epatico.

“Consumato in dosi moderate e con costanza quotidiana, il caffè ha dimostrato di essere un aiuto importante nella prevenzione di patologie metaboliche e neurodegenerative. La sua presenza, quindi, all’interno della dieta di ogni giorno non solo influenza positivamente la sfera emotiva della persona ma può contribuire al benessere dell’organismo” ha affermato il dottor Andrea Poli, Direttore Scientifico di NFI. “Grazie soprattutto al contenuto naturale in acidi clorogenici, il caffè, anche decaffeinato, è tra le fonti dietetiche più abbondanti di antiossidanti. Il suo consumo permette di assumerne quantità significative, con favorevoli implicazioni sulla nostra salute” ha concluso Andrea Poli.


IL CAFFÈ: QUANTO, COME E QUANDO LO CONSUMANO GLI ITALIANI

Il caffè è la terza bevanda più consumata al mondo dopo l’acqua ed il vino. I Paesi scandinavi sono quelli dove si registra il consumo maggiore (circa 10kg all’anno a persona). L’Italia, con i circa 6kg annui pro capite, è uno dei paesi che registra i volumi più alti di consumo (è presente nel 90% delle famiglie italiane) con modalità diverse da quelle degli altri paesi. Mentre all’estero, infatti, il caffè è utilizzato come bevanda per accompagnare i pasti, nel nostro paese invece il suo consumo è legato a momenti specifici della giornata ed è apprezzato come sostanza che stimola il sistema nervoso.

I consumatori italiani bevono mediamente almeno una tazzina di caffè al giorno e, in generale, è possibile suddividere i consumi nel modo seguente: 84% a colazione, 53% in tarda mattinata, 28% nel primo pomeriggio, il 24% nel tardo pomeriggio, il 21% a cena o subito dopo cena e solo l’11% beve caffè in tarda serata. Più della metà degli italiani (il 57% circa) è solito sorseggiare caffè sia casa che al bar mentre il 29,6% sceglie il consumo esclusivamente tra le mura domestiche. Solo il 2,6% dei consumatori beve il caffè esclusivamente al bar in quanto sostenitore dell’espresso (fonte Plazanet 2006).

Una ricerca realizzata da Ispos-Novaction nel febbraio 2006 ha messo a fuoco quali sono le tipologie di caffè disponibili e le ha messe in relazione con i momenti di consumo e le sensazioni che le persone associano ad essi. Il mercato italiano propone tre diversi tipi di caffè: normale, decaffeinato ed istantaneo. Ognuna di queste categorie ha un consumatore ben definito che difficilmente è disposto a sostituire una tipologia con l’altra.

La categoria più ampia è quella di chi sceglie il caffè normale. Per loro il caffè è legato al momento del risveglio, deve avere un aroma intenso e ben definito e deve essere adatto anche per un consumo dopo pasto. Tra questi consumatori si distinguono anche quelli che prediligono nettamente il caffè del bar e amano gustarne più tazze al giorno e gradiscono anche a casa un caffè espresso, le persone che invece sono affezionate ad un particolare tipo di prodotto (che scelgono per la provenienza, per l’aroma o per la cremosità).

Coloro che invece scelgono il caffè decaffeinato sono persone che desiderano evitare la caffeina, perché ritenga possa influire sul loro stato emotivo, ma non vogliono rinunciare a questa bevanda. Ritengono che il decaffeinato sia infatti adatto a tutti e a qualsiasi momento della giornata, anche dopo cena.

Infine, l’istantaneo, nella versione caffè o cappuccino, viene scelto dai consumatori non per la praticità della preparazione ma perché ricercano una bevanda diversa che possa essere consumata anche in momenti non “canonici”.

I relatori


Rodolfo Paoletti, Presidente NFI
Laureato in Medicina presso l’Università di Milano, nel corso dei suoi 50 anni di attività universitaria, il Professor Paoletti è stato per 33 anni Professore Ordinario di Farmacologia e Direttore dell’Istituto, prima, e del Dipartimento poi, di Scienze Farmacologiche dell’Università di Milano. E’ stato anche Preside della Facoltà di Farmacia dal 2001- al 2006. Ha ricevuto 5 lauree Honoris Causa da Istituzioni Universitarie internazionali. E’ stato Presidente di numerose società scientifiche. Oggi è Presidente della Fondazione Giovanni Lorenzini e della Fondazione Italiana Cuore. La sua attività scientifica è testimoniata da oltre 205 pubblicazioni su riviste scientifiche e dalla co-edizione di un centinaio di testi, oltre che dalla partecipazione al Comitato Editoriale di riviste mediche internazionali.

Andrea Poli, Direttore Scientifico NFI
Andrea Poli si è laureato in Medicina e specializzato in Farmacologia presso l’Università degli Studi di Milano. Dal 1976 collabora con il Dipartimento di Scienze Farmacologiche dell’Università degli Studi di Milano, diretto dalla prof. Elena Tremoli.
Dal 1986 al 1990 è stato Segretario Scientifico del "Programma Nazionale di Educazione al Controllo del Colesterolo", patrocinato dal Ministero della Sanità.
Dal 1990 al 2005 è stato Segretario Scientifico della Fondazione Italiana per il Cuore, affiliata all'International Society and Federation of Cardiology, di cui dal 2005 è Direttore Scientifico.
Dal 1995 è Direttore Scientifico della NFI – Nutrition Foundation of Italy.
E’ autore di oltre 120 pubblicazioni su riviste nazionali ed internazionali. Ha collaborato in qualità di Editor ai seguenti volumi: "Oxidative Processes and Antioxidants", "Vitamin C the state of the art in disease prevention sixty years after the "Nobel Prize", "Creatine: from basic scientific to clinical application", "Moderate alcohol consumption and cardiovascular disease".

Augustin Scalbert, Direttore del laboratorio di “Micronutrients, Metabolism and Biological Signatures” presso l’INRA Clermont-Ferrand
Augustin Scalbert e’ originario di Lille, nel nord della Francia. Ha studiato Scienze Agronomiche all’Institut National Agronomique Paris-Grignon ed ha poi ottenuto un dottorato di ricerca presso l’Institut National de la Recherche Agronomique (INRA), nei laboratori di chimica biologica di Grignon. Il Prof. Scalbert ha iniziato a studiare la biochimica dei polifenoli nel 1995 e si e’ successivamente spostato all’Unité des Maladies Métaboliques et Micronutriments dell’INRA di Clermont-Ferrand, recentemente re-intitolata Unité de Nutrition Humaine.
Attualmente, il Prof. Scalbert dirige il laboratorio di “Micronutrients, Metabolism and Biological Signatures” presso l’INRA Clermont-Ferrand dove studia il metabolismo dei polifenoli con metodologie all’avanguardia nell’area della genomica e della metabolomica. Il Prof. Scalbert e’ autore di oltre 80 pubblicazioni scientifiche ed e’ stato identificato dalla Thompson Corporation come uno degli scienziati piu’ citati e piu’ rilevanti nel suo campo di ricerca. Ha vinto numerosi premi, come quello della ICPH (International Conference on Polyphenols and Health) ed e’ membro del Groupe Polyphénols, di cui e’ stato vice-presidente per due anni. Organizzatore di convegni sul tema dei polifenoli, antiossidanti e salute umana, il Prof. Scalbert e’ anche autore di libri sull’argomento e consulente di ditte alimentari e del governo francese.

Francesco Visioli, Nutrition Foundation of Italy e Direttore del laboratorio di “Micronutrienti e malattie cardiovascolari” presso l’Università di Parigi “Pierre et Marie Curie”
Francesco Visioli si e’ laureato in Chimica e Tecnologia Farmaceutica all’Universita’ di Milano ed ha conseguito il Dottorato di Ricerca in Biotecnologie all’Universita’ di Brescia. Attualmente e’ ordinario di fisiopatologia presso l’Université Pierre et Marie Curie – Paris 6 (Parigi), dove dirige il laboratorio di “Micronutrienti e malattie cardiovascolari”. Francesco Visioli e’ anche Faculty al College of Pharmacy della Oregon State University, dove ha passato lunghi periodi di studio.
Le aree di ricerca del Prof. Visioli riguardano lo studio degli antiossidanti naturali (flavonoidi, polifenoli), in relazione alla patologia cardiovascolare su base aterosclerotica, e gli acidi grassi essenziali della serie omega 3. In particolare, il gruppo di ricerca cui afferiva Francesco Visioli ha scoperto ed elucidato le attivita’ biologiche e farmacologiche dei componenti fenolici dell’olio d’oliva, conducendo anche studi nell’uomo.
Il Prof. Visioli e’ autore di oltre 150 pubblicazioni scientifiche, oltre la meta’ delle quali e’ comparsa su riviste internazionali con peer review, e di monografie. Associate Editor di Pharmacological Research, organo ufficiale della Societa’ Italiana di Farmacologia, di Lipids e di Prostaglandins, Leukotrienes and Essential Fatty Acids, il Prof. Visioli e’ anche membro del Consiglio Direttivo dell’International Society for the Study of Fatty Acids and Lipids (ISSFAL), di cui dirige la rivista.

Fonte: Ketchum - Ufficio Stampa NFI – Nutrition Foundation of Italy